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La Camera dei deputati

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Siamo sempre ad arrovellarci sulla storia delle chiusure e aperture. Adesso sembra che torni in campo l’idea di fare una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione del Covid. Si dice che l’idea piacerebbe alla Lega e anche ad Italia Viva, ma vai a sapere: su questa roba spesso si getta il sasso e si nasconde la mano, sicché può darsi benissimo che tutto venga smentito.

Poi magari verrà riesumato in qualche altro momento, perché questa propensione a fare commissioni parlamentari d’inchiesta è qualcosa che ritorna con costanza nelle battaglie politiche.

Servissero a qualcosa, si potrebbe dire. Se pensiamo a quella sulle banche non c’è da stare allegri, ma anche ben più paludate, come quella sul caso Moro, non è che abbiano fatto fare passi avanti definitivi.

Rispondono a quell’eterna inclinazione a voler risolvere tutto sul piano giudiziario, cioè avendo un’istanza che stabilisce colpe e responsabilità. Come se fosse possibile, ma anche semplicemente sensato arrivare a dirimere delicate questioni politiche in quei termini. Se ci si mette su quella strada poi diventerà ancor più difficile negare alla magistratura ordinaria il diritto di istruirli lei i processi.

Sembrerebbero questioni di buon senso, ma temiamo che prima o poi anche questa volta si finirà per cedere alla tentazione di poter chiamare sul banco degli imputati i vari politici e i governi, ma poi anche i presidenti di regione, i membri del CTS, che hanno dovuto gestire questa pandemia. E avremo il classico processo politico in cui ciascuno scagionerà i suoi e bollerà i suoi avversari senza che si cavi il classico ragno dal classico buco. Meglio lasciar perdere.

Anche perché non mancano le cose più serie da fare. Mentre ci si balocca sul tema delle riaperture e ci si diverte a discettare se il rischio attuale sia stato calcolato bene o male, ci sarebbe da lavorare con serietà al problema di come ci organizzeremo per sfruttare le opportunità del Recovery Fund. Tutto sommato cercare colpe sulla passata gestione della pandemia è piangere sul latte versato, mentre come impiegheremo i fondi che contiamo ci arriveranno dall’Europa è una questione che determinerà il futuro del nostro paese per i prossimi decenni.

Non stupisce che nelle contingenze attuali in fondo Draghi e il suo governo non siano dispiaciuti se li si lascia lavorare senza la pressione di una politica poco capace di lungimiranza. Crediamo però che la tecnica del “lasciate fare al manovratore” funzioni in politica fino ad un certo punto, pure se il manovratore è uno molto bravo come è nel caso di Draghi e di alcuni dei suoi ministri. Il fatto è che quando si deve varare una politica che deve ragionare in prospettiva non basta produrre buoni progetti, bisogna creare le condizioni perché questi vengano poi tradotti in realtà.

Anche in questo caso non è produttivo dare tutte le eventuali colpe di una difficile gestione per non dire di un insuccesso al solito diavolo, che in questo caso sarebbe la burocrazia e il cumulo di leggi che per evitare abusi hanno complicato ogni cosa. Esorcizzare questo demonio richiede compattezza politica perché senza di essa non si fanno né le riforme necessarie per disboscare la giungla legislativa né si mettono alle strette tutti i gangli decisionali che non agevolano il lavoro per difendere poteri di interdizione tanto loro quanto di vari sponsor non sempre identificabili.

Quel che vediamo è che siamo ancora piuttosto lontani da questo clima favorevole, che ci pare fosse quello che si aspettava il presidente Mattarella quando avviò l’esperimento del governo di larga solidarietà nazionale. L’on. Serracchiani ha fatto un quadro perfetto della situazione, quando ha detto che Salvini lavora per logorare l’identità del governo, mentre Letta lavora per chiarire le differenze incolmabili fra la destra e la sinistra. In pratica significa che entrambi, lo vogliano o meno, se ne accorgano o meno, scavano la terra sotto i piedi di Draghi.

Finché il quadro è quello di una competizione a tutto campo, difficilmente il governo potrà determinare un clima di cooperazione nazionale, che è quanto sarebbe estremamente necessario. Sul piano di questa ulteriore fase della lotta alla pandemia per ragioni del tutto evidenti e più volte richiamate (da ultimo dallo stesso premier nella sua conferenza stampa). Sul piano dell’avvio delle procedure per la campagna di impiego del Recovery Fund perché ormai siamo prossimi alla scadenza di presentazione a Bruxelles del PNRR che deve essere supportato, più di quel che non si creda, da un messaggio alle sedi comunitarie che dell’Italia ci si può fidare. Si tenga conto che episodi come la ripresa delle turbolenze in Val di Susa, ma anche alcune scomposte manifestazioni di protesta non sono un buon viatico per l’iter del nostro piano a Bruxelles, ma poi ancor più per la sua implementazione sul campo.

Inevitabilmente tocca ai partiti mettersi attorno ad un tavolo per stabilire, se ne sono capaci, le condizioni di una reale tregua politica nonostante le scadenze elettorali che li aspettano. Non possono continuare ad andare avanti in un clima di scontro per di più confuso: di questo passo il rischio che la maggioranza si sfaldi è piuttosto rilevante e non ci vuole chissà quale competenza per capire che una crisi del governo Draghi sarebbe un colpo durissimo per il paese.


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