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Marta Cartabia e Mario Draghi

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Chissà quanto e come reggerà il compromesso sulla giustizia raggiunto dopo un’intera giornata di trattative tra Mario Draghi e il M5S di Giuseppe Conte. Pesano i giudizi negativi del Csm e il dissenso di stampo oltranzista che alligna all’interno del MoVimento. Il voto di fiducia, se ci sarà, rappresenta uno scudo notevole visto che elimina le possibili tagliole degli emendamenti presentati in numero copioso anche dalla maggioranza. I quali comunque, come annuncia la Guardasigilli, verranno ritirati. Inoltre il via libera unanime in Consiglio dei ministri costituisce una barriera solida rispetto a incursioni indebite.

Al dunque qual è il bilancio di una giornata vissuta pericolosamente? Fermo restando il dissenso (da non sottovalutare) delle toghe, dal punto di vista politico l’accordo risulta positivo per tutti, sgombrando il campo da una mina che poteva far saltare in aria la maggioranza di larghe intese.

SuperMario può essere soddisfatto perché porta al traguardo come aveva promesso un tassello importantissimo ai fini del Recovery e del prestigio italiano in Europa. Il presidente del Consiglio può affermare a buon titolo che i tempi delle riforme vengono rispettati nonostante fisco e concorrenza slittino a settembre. Ma il vero scoglio era la giustizia e ora è superato: diciamo che per palazzo Chigi va bene così.

Anche Giuseppe Conte, all’esordio da leader pentastellato, può dirsi soddisfatto. La sua prima volta avveniva, è giusto riconoscerlo, su un terreno delicatissimo, il più scivoloso per lui. Le modifiche sul merito per quel che concerne i reati di mafia non sono stravolgenti della riforma – obiettivo peraltro impensabile – e ne lascia intatto lo spessore e il significato di fondo. Ma per i grillini il punto non è questo. Conte è riuscito a trattare con successo con Draghi e a far pesare il suo nuovo ruolo. L’intesa rafforza il profilo della sua leadership e gli consente di affrontare con armi meno spuntate i pasdaran alla Di Battista.

In più, il via libera al testo Cartabia con gli aggiustamenti concordati, soddisfa anche e soprattutto l’ala governista del M5S incarnata da Luigi Di Maio, che vede allontanarsi lo spettro di una resa dei conti così dura da far mettere nel conto perfino una scissione. Non è accaduto e, se tutto fila liscio, non accadrà. Il fatto che quello che allo stato resta il partito di maggioranza relativa nelle Camere non fibrilla porta stabilità in tutto il quadro politico. Almeno per le prossime settimane e fino alle elezioni amministrative. Inutile vaticinare per il dopo.

L’intesa sulla giustizia fa tirare un poderoso sospiro di sollievo a Enrico Letta. Il Pd rischiava di finire in un tritacarne perché una eventuale rottura sulla giustizia con i Cinquestelle pronti ad astenersi avrebbe fatto pencolare verso il centrodestra l’equilibrio complessivo della maggioranza ed inoltre avrebbe lasciato il Nazareno in una posizione di isolamento riguardo le alleanze. Per i Democratici abbandonare Draghi è impensabile ma continuare a sostenerlo con i M5S sul piede di guerra avrebbe rischiato di diventare letale. Così invece seppur pencolante l’asse tra il Pd e il MoVimento regge. In più avere la leadership di Conte in posizione più salda, rende il dialogo più facile, rafforzandolo. Tutto sommato un bottino tutt’altro che effimero.

Anche il centrodestra può dirsi soddisfatto. La riforma Cartabia rappresenta un importante inizio di riequilibrio nel rapporto tra politica e magistratura: dopo decenni di scontro è un risultato non trascurabile. Inoltre rimosso, o almeno così appare, il macigno giustizia, il governo può procedere con ritrovata speditezza sulle misure che implementano il Pnrr, dove c’è la ciccia dei finanziamenti Ue. È un terreno che vede molti interessi in gioco e anche molte risorse da assegnare. In fondo è questa la vera ragione per cui Lega e Forza Italia hanno deciso di assecondare il tentativo di SuperMario lasciando a FdI il ruolo di unico oppositore.

Draghi può guardare con meno apprensione alle prossime settimane e ai prossimi passaggi, primo fra tutti la lotta al Covid e l’allargamento d’applicazione per il Green pass. Sapendo di aver segnato un punto importante nel raggio d’azione del suo governo. Il cronoprogramma, infatti, altro non è che il riformismo possibile e necessario per l’Italia. L’ok alla riforma della giustizia conferma che il percorso individuato dal presidente del Consiglio non ha alternative. Non ci sono piani B da strutturare: allo stato c’è solo il governo di larghe intese e il premier che lo guida. Fuori da quell’orizzonte, c’è buio e tempesta. E nessuno ha un’imbarcazione talmente solida da poter immaginare di affrontare quel tipo di marosi.


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