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Giuseppe Conte e Mario Draghi

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QUALCHE quotidiano beninformato ha riassunto il colloquio chiarificatore intervenuto tra Mario Draghi e Giuseppe Conte. Mentre l’ex presidente illustrava il suo cahier de doléanche, il premier prendeva  nota con la solita biro e rispondeva “si può fare”. In realtà, Draghi avrebbe potuto rispondere così: “Caro Giuseppe, questo lo abbiamo già fatto”. Perché – eccezion fatta per alcune acrobazie dell’ultima ora, in puro stile “grillino” – i punti  più  cruciali per il M5S non sono messi in discussione. Anzi , ad un osservatore attento potrebbe venire il dubbio che Conte abbia usato toni da (pen)ultimatum per  imbrogliare i suoi giannizzeri pretendendo da Draghi delle risposte sollecite a proposito di argomenti  sui quali si è già detto tutto da tempo.

La prima rimostranza ci conduce al reddito di cittadinanza (“bandiera vecchia onor di capitano”).  A parte la pretesa di proibire agli alleati critiche a questo caposaldo del pensiero grillino, Conte avverte Draghi che il M5S (di quale rito non si è ancora compreso) non accetterà altri interventi riduttivi, mentre è disposto a  concordare quale rimedio sull’aspetto nel quale – per unanime convincimento – il RdC è clamorosamente fallito: la pretesa di avviare politiche del lavoro attive per i percettori della prestazione benemerita. Probabilmente Giuseppe Senza Terra (e senza pochette) si riferiva a quanto previsto nel decreto Aiuti che, pur avendo ottenuto la fiducia alla Camera (ma si temono prese di distanza quando si passerà all’esame del testo) al Senato  è sotto tiro di un “vedremo” minaccioso.

Ma quali sono le modifiche riduttive che fanno soffrire i pentastellati? Per non commettere errori ce le facciamo spiegare da  Lucia Valente un giuslavorista, allieva di Pietro Ichino e docente a Roma, che ne ha scritto sull’autorevole laVoce-Info. In primo luogo il decreto dispone che i navigator con incarico di collaborazione terminato al 30 aprile 2022 sono ri-contrattualizzati da Anpal Servizi a condizioni invariate per un periodo di due mesi a decorrere dal 1° giugno 2022. Del resto non si sarebbe potuto fare altrimenti dal momento che le Regioni non hanno ancora provveduto alle nuove assunzioni previste nei Centri per l’impiego (anche perché sarà  molto difficile trovare personale dotato delle competenze necessarie). La seconda modifica  impone al beneficiario di accettare non solo le “offerte congrue di lavoro” provenienti dai centri per l’impiego, ma anche quelle che arrivano direttamente dalle aziende. L’eventuale mancata accettazione dell’offerta congrua da parte dei beneficiari deve essere comunicata dal datore di lavoro privato al centro per l’impiego competente per territorio ai fini della decadenza del beneficio. Questa norma, frutto di un emendamento presentato alla Camera e approvato col voto contrario del M5S, merita invece un apprezzamento proprio in ragione di quell’esigenza di rafforzare le politiche attive che Conte ha voluto inserire nel suo documento.

Poi viene affrontato il problema dell’offerta congrua.  Difficilmente ai percettori di Rdc viene offerto un contratto di lavoro che rispetti tutti i requisiti (essendo eccessivamente favorevoli al lavoratore). Pertanto, il rifiuto dell’offerta di lavoro risulta sempre giustificato; e comunque non si registrano casi di decadenza dal Rdc per rifiuto ingiustificato (i soli casi di decadenza, a quanto consta, sono quelli di irreperibilità del beneficiario). Diversificare l’offerta mettendo in campo anche le aziende è una necessità, perché  i Cpi non sono in grado di intermediare domanda e offerta di lavoro, come proprio in questi giorni è stato certificato dall’Inapp.

Ne consegue una considerazione: se Conte non vuole che si ironizzi sul RdC sia disponibile – come dice – a individuare soluzioni che limitino la possibilità di abusi. Poi nel documento delle nove meraviglie è indicato un pacchetto di misure che – al di là della loro effettiva utilità – raccolgono consensi trasversali. Si comincia dal salario minimo legale: un tema che ha raccolto l’adesione di tutti i partiti, di centro-sinistra e di sinistra-sinistra -invitati, il 1° luglio scorso,  dalla Cgil, all’Acquario Romano, nell’ambito dell’iniziativa “Il Lavoro interroga”.

Si arriva poi alla richiesta perentoria di  applicare il decreto dignità e di conseguenza prevedere una causale nell’uso dei contratti a termine. Conte lamenta che l’applicazione di questa norma sia stata sospesa all’inizio della pandemia, ma non ne ammette il motivo: tutti, a cominciare dai sindacati, si accorsero che quelle norme producevano più danni che risultati. Anche in questo caso, però, il povero Conte viene surclassato dalla Cgil che chiede l’abolizione di tutti i contratti ritenuti “precari” con l’introduzione di una sorta di contratto unico per tutte le tipologie di rapporto. Anche su altri temi l’ex premier arriva in ritardo: per quanto riguarda  gli “aiuti” ripete quanto ha detto da settimane Maurizio Landini; 200 euro una tantum sono pochi, ci vorrebbero per ogni mese. Intanto – oltre al salario minimo – gli aumenti salariali si effettuino al netto e si provveda a tagliare il cuneo fiscale e contributivo.

Si arriva, poi, al termovalorizzatore di Roma che il M5S continua ad aborrire. Ma chi è il più importante alleato – anche se con tanti “distinguo” – di Conte a Roma? La Cgil. Sentiamo che cosa ha dichiarato in una intervista di Nunzia Penelope per Il Diario del lavoro, il segretario della Cgil di Roma e del Lazio, Michele Azzola per motivare la contrarietà della sua organizzazione al progetto del sindaco Roberto Gualtieri: “Intanto perché il Comune punta su un modello di impianto vecchio. Vent’anni fa lo avrei approvato subito, oggi è superato. Bruciando tutto indistintamente, come avverrebbe col nuovo termovalorizzatore, si azzera la gerarchia dei rifiuti, quella che ci raccomanda l’Europa, e che si basa su prevenzione, riuso, riciclo, termovalorizzatore e discarica, in quest’ordine. Ma se per i prossimi vent’anni si getterà nel termovalorizzatore il contenuto tal quale del cassonetto, le prime tre voci perderebbero senso, e la stessa raccolta differenziata non farebbe passi avanti. Senza contare le emissioni di Co2 causate dal termovalorizzatore”. 

Quanto al superbonus 110%,  il governo non si opporrà a cercare  una soluzione per sbloccare le cessioni” di crediti. Vi sono poi, nel documento, alcune partite sul piano fiscale (cashback, riscossioni, delega) sulle quali Conte teme la concorrenza di Matteo Salvini. Ma è roba da legge di bilancio.  In sostanza, se l’avvocato del popolo creerà problemi al governo, nel passaggio del Senato, il merito conterà ben poco. Ma è proprio scontata l’impossibilità di un Draghi-bis? Che cosa ne pensa Mattarella. In questa legislatura non ci siamo fatti mancare nulla. Perché non aggiungere un altro tassello all’imprevedibile?


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