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Emmanuel Marcon e Giorgia Meloni

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Non è ovviamente un caso che l’incontro informale tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni a Roma sia il primo bilaterale della nuova premier italiana con un collega europeo. Per inquadrarlo meglio è opportuno rispolverare un evento che risale a circa un anno fa: la firma del Trattato del Quirinale tra Italia e Francia del 26 novembre 2021. In quella occasione, l’accordo sottoscritto da Emmanuel Macron e Mario Draghi, sotto l’occhio paterno di Sergio Mattarella, rafforzò non soltanto la collaborazione tra i due Paesi, ma anche la personale leadership dei due capi di governo in un’Europa colpita dalla crisi economica postpandemica, ma non ancora travolta dalla follia criminale di Vladimir Putin.

LA LEADERSHIP EUROPEA DI DRAGHI

Il trattato conteneva spunti decisivi per l’Europa che verrà. Tra questi, il concetto di “autonomia strategica europea”, tanto caro a Macron. Il presidente francese proclama da tempo l’urgenza di una nuova sovranità europea, anche sul piano militare. Nel 2019, in una intervista all’Economist Macron denunciò la «morte cerebrale» della Nato: erano ancora i tempi di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti e l’Europa sembrava costretta alla ricerca di una terza via. Nel 2021, la ritirata degli Usa dall’Afghanistan e la loro ricollocazione sullo scacchiere dell’Asia-Pacifico aveva lasciato scoperta l’Europa, abituata a vivere tranquilla sotto l’ombrello protettivo americano.

La firma del Trattato del Quirinale divenne così l’occasione per rilanciare una idea di sovranità europea comprensiva della capacità dei Paesi membri di creare una difesa comune. Ma sempre «complementare alla Nato, non sostitutiva», precisò allora Mario Draghi, forse proprio per evitare che l’intesa fosse interpretata come una presa di distanza dagli impegni atlantici.

«Un’Europa più forte fa la Nato più forte» disse Draghi allora. Sappiamo che cosa è successo dopo. Alla fine di febbraio del 2022, la Russia di Vladimir Putin invade l’Ucraina e Mario Draghi diventa il campione europeo dell’atlantismo. Reagisce in maniera ferma all’invasione russa, stimola una risposta comune europea, rafforza i legami strategici e militari con la Casa Bianca. Così facendo, esercita un ruolo di indirizzo sul gruppo dei Paesi membri che avrà un’influenza decisiva. L’azione di Draghi produce un effetto paradossale sul fronte interno. Mentre alcune componenti della maggioranza di governo (Lega, M5s, Berlusconi) manifestano mal di pancia, l’opposizione di Giorgia Meloni assume una posizione nettamente atlantista.

Una scelta che oggi consente alla nuova premier di godere della credibilità necessaria per dialogare con i suoi colleghi europei. Soprattutto con Emmanuel Macron che è stato l’alleato principale di Draghi in questo passaggio storico. Finora, l’intesa tra Francia e Italia si è rivelata cruciale per riportare alla ragione la Germania, Paese che Angela Merkel aveva appiattito su una acritica partnership con la Russia di Putin. Fino al punto di rendere Berlino completamente dipendente da Mosca sul fronte delle forniture energetiche.

MELONI E MACRON, L’ALLEANZA CON PARIGI

Eccessivamente prudente e lento sulle sanzioni economiche contro la Russia, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha bloccato a lungo il pacchetto di proposte di Draghi sulle politiche comuni per l’energia, nervo scoperto dell’economia tedesca nel rapporto con Mosca.

Proprio l’ultimo consiglio europeo è stato lo scenario di uno scontro tra Parigi e Roma contro Berlino: la Francia è schierata nettamente al fianco dell’Italia per l’adozione di un tetto ai prezzi del gas, a dispetto dell’opposizione della Germania, sostenuta dall’Olanda. E se Draghi è riuscito a ottenere il placet di Berlino su una serie di misure che fino a pochi giorni fa apparivano irraggiungibili, toccherà ora a Giorgia Meloni continuare l’opera.

Così si spiega l’incontro di domenica tra la nuova presidente del Consiglio italiana e il presidente francese, favorita dal lavoro di mediazione e di indirizzo svolto da Draghi e Mattarella.

MELONI E MACRON, LA STRANA COPPIA

La nuova coppia di alleati Meloni-Macron ha qualcosa di paradossale. Finora la leader di Fratelli d’Italia è stata percepita come un’esponente della destra più retriva e nazionalista, una Marine Le Pen italiana, capace di spaventare il governo francese sulla questione dei diritti civili e sui rischi di una involuzione autarchica e sovranista dell’Italia.

Senza contare l’antica simpatia della Meloni per le posizioni di Viktor Orbán, ostile agli immigrati extracomunitari, difensore della purezza razziale del popolo ungherese, crociato della famiglia tradizionale contro l’aborto e contro i diritti delle persone Lgbt. Nel frattempo, però, l’adesione esplicita di Meloni all’atlantismo ha fatto piazza pulita della vecchia cultura antioccidentale, anticapitalista e antiamericana che ha sempre alimentato le idee della destra storica italiana, fin dai tempi del fascismo. Sacche di resistenza esistono ancora tra le file di Fratelli d’Italia, ma l’atteggiamento di Meloni è ormai inequivocabilmente filoamericano e filoatlantico. Ben al di là dello stesso Macron, che, da buon francese, ha con le democrazie anglosassoni un rapporto complicato.

E tuttavia le scelte di politica estera di Giorgia Meloni escludono che possa essere assimilata a Marine Le Pen. Viceversa, i profondi legami della leader della destra transalpina con la Russia sono stati tra i punti deboli che Macron ha potuto usare contro di lei nella campagna presidenziale. Semmai, qualcuno potrebbe temere una deriva “polacca” per l’Italia: atlantista sul piano geopolitico, dunque nettamente a difesa dell’Ucraina contro la Russia, ma retriva sul rispetto dei diritti civili e del costituzionalismo democratico, in contraddizione con i valori tipicamente europei.

Ma anche questa preoccupazione, dopo le ultime uscite e, soprattutto, dopo un passaggio di consegne curato fin nei minimi particolari da parte di Draghi, appare un’ipotesi senza fondamento. Gli sguardi complici durante la cerimonia della campanella tra i due premier, quello uscente e quella entrante, dicono esattamente il contrario. Insieme all’eredità politica del suo biennio di governo, Mario Draghi ha trasferito alla nuova premier anche una patente di credibilità europea.

CONTINUITÀ DRAGHI-MELONI

Dal canto suo, Giorgia Meloni sembra lì per garantire la continuità delle politiche europee del suo predecessore, a partire da quelle per l’energia con la consulenza di Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica. Nel lascito di Mario Draghi un ruolo cruciale conserva il rapporto con la Francia. La speranza del capo di governo uscente (e del presidente della Repubblica) è proprio questo: il rapporto privilegiato tra l’Eliseo e Palazzo Chigi deve proseguire, anche per smuovere la rigidità e i tentennamenti della Germania.

«La necessità di dare risposte veloci sul caro energia, il sostegno all’Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori» è la sfida che Meloni raccoglie nella dichiarazione successiva all’incontro con Macron. Se, dopo la scelta atlantica, la trasformazione della Meloni continuerà, con l’opzione per la sovranità europea, in una partnership stretta con la Francia, ne vedremo delle belle. Dopo il bilaterale Meloni-Macron, una strana coppia si aggira per l’Europa.


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