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Circa 9 contenuti su 100 tra quelli pubblicati online dai politici italiani risultano offensivi, discriminatori oppure incitano all’odio: a rilevarlo è la sesta edizione del Barometro dell’odio di Amnesty International dedicata alle “Elezioni politiche 2022”. Durante cinque settimane, tra agosto e settembre 2022, sono stati raccolti oltre 30.000 contenuti dalle pagine Facebook e dagli account Twitter di 85 candidati alle elezioni politiche, selezionati tra i capilista dei seggi plurinominali e i candidati ai seggi uninominali.

Di questi, 28.238 post e tweet sono stati catalogati, mentre poco meno di 2mila sono stati scartati perché non valutabili. Per ciascun contenuto sono stati indicati il tema, l’accezione, l’eventuale presenza e il grado di problematicità, la tipologia di bersaglio, il gruppo vulnerabile cui ricondurre il bersaglio e l’ambito a cui fa riferimento l’odio. A effettuare il lavoro di catalogazione dei contenuti è stata una squadra di 50 tra attiviste e attivisti di Amnesty International, affiancati dallo staff; a elaborare e analizzare i dati, invece, è stato un gruppo di data scientist, ricercatori, esperti ed esperte dell’organizzazione stessa.

I politici italiani hanno, quindi, fatto uso di hate speech nel 9% dei casi e, dei contenuti discriminatori e offensivi rilevati, circa quattro contenuti su dieci sono attacchi rivolti ad altre figure politiche. I diritti umani sono invece presi di mira solo in un quarto dei contenuti. Al centro dei temi che sono stati maggiormente oggetto di linguaggio dell’odio troviamo l’immigrazione (53%), le minoranze religiose (36%), il mondo della solidarietà (35%), Lgbtqia+ (31%) e giustizia di genere (26%). A emergere è anche una nuova tendenza, cioè una forma di discriminazione e intolleranza di tipo classista nei confronti delle persone in stato di svantaggio economico. A generare contenuti d’odio sono anche temi quali il Covid, la guerra e la crisi climatica. I diritti umani compaiono in meno di 1 post e tweet su 4 e, anche in quel caso, spesso il contenuto non è in chiave costruttiva.

Tra le prime cento parole nei contenuti che incitano all’odio spiccano termini quali italiani, blocco, popolo, regole, decreti, casa, stupro, violenza, mare, vita: rimarcano, cioè, la necessità di porre fine a qualcosa, introducendo così la dimensione della sicurezza. Ci troviamo in continuità con il passato, non solo per i temi, ma anche per i lemmi e le proposte di limitazione dei diritti.

La coalizione di centro-destra ha pubblicato più del doppio dei contenuti discriminatori o offensivi rispetto alla coalizione di centro-sinistra: rispettivamente il 9% e il 4%. Azione-Italia Viva ha pubblicato il 6% di questa tipologia di contenuto, mentre il Movimento e Stelle circa il 3%.

Osservando i cinque esponenti politici che hanno pubblicato il maggior numero di contenuti – post e/o tweet – offensivi, che incitavano alla discriminazione oppure fungevano da attacco ad altri esponenti politici, si possono ricondurre a tre partiti: Lega, con i post di Matteo Salvini, Manfredi Potenti, Claudio Borghi Aquilini, Edoardo Rixi e Severino Nappi; Fratelli d’Italia, con i contenuti di Lucio Malan e Roberto Menia; Azione, con i post di Carlo Calenda. In testa ai leader troviamo Matteo Salvini (18%), seguito da Giorgia Meloni (16%), Carlo Calenda (9%), Silvio Berlusconi (5%), Nicola Fratoianni (4%), Giuseppe Conte (2) e Enrico Letta (1%).

Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, “Se i politici quelle energie che mettono nell’insultarsi l’un l’altro le dedicassero a parlare di diritti in maniera costruttiva, saremmo già un passo avanti nella lotta alla discriminazione”. Il linguaggio d’odio, insomma, viene sdoganato proprio da quella classe dirigente che dovrebbe invece rimettere al centro dell’attenzione i temi sociali e le persone. Ci troviamo, invece, di fronte a un dibattito desolante in cui a farla spesso da padrona sono l’intolleranza, l’esclusione sociale, le generalizzazioni, le rappresentazioni stereotipate e, appunto, l’hate speech.

L’attività del Barometro dell’odio non si limita, tuttavia, all’analisi dei dati raccolti, ma fornisce raccomandazioni preziose. Se da un lato vi è l’invito alle piattaforme social a una vigilanza attiva e a una maggiore chiarezza sulla gestione delle segnalazioni, dall’altro vi è un accorato appello al nuovo Governo affinché vengano rafforzate le campagne di comunicazione e informazione sul rispetto dei diritti umani, si intensifichino i programmi di educazione all’interno delle scuole, si fermino le discriminazioni e si condannino, con prontezza, tutti gli episodi di discorsi d’odio.

Una società migliore passa anche da una politica migliore.


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