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Letizia Moratti punta ad una alleanza di progressisti per “rubare” la Lombardia alla Destra ma il Pd risponde “Mai!”

Ammesso e non concesso che Palmiro Togliatti riconosca qualche traccia del suo dna nell’attuale gruppo dirigente del Pd e delle frattaglie alla sua sinistra, sicuramente le spoglie del grande leader si staranno rivoltando nella tomba al cospetto della linea di condotta dei suoi imbastarditi eredi in vista delle elezioni regionali in Lombardia.

Quando “il Migliore’’ (che allora si faceva chiamare Ercole Ercoli) nell’aprile del 1944, proveniente da Mosca, sbarcò a Salerno con gli ordini di Stalin, andarono a riceverlo i comunisti (che avevano solo sentito parlare di lui ma non lo avevano mai incontrato) della nuova generazione, appena usciti dalle carceri fasciste o tornati dal confino. I loro sentimenti nei confronti della monarchia, che l’anno prima aveva compiuto una sorta di autogolpe contro Mussolini passando dalla parte degli Alleati – non erano certo benevoli. Togliatti impartì il “contrordine compagni’’.

Casa Savoia aveva delle gravi responsabilità, ma in quel momento c’era un pezzo d’Italia (e dell’esercito) che si riconosceva nella monarchia la quale combatteva contro i nazifascisti; e quindi con loro occorreva trovare un’intesa perché in guerra “i nemici dei nostri nemici, sono nostri amici’’. I conti si sarebbero fatti dopo la liberazione.

LETIZIA MORATTI PROVA LA CORSA ALLA LOMBARDIA, MA IL PD BOCCIA

Non abbiamo la pretesa di paragonare lo scenario tragico di quegli anni con la commedia all’italiana a cui stiamo assistendo oggi; e neppure di mettere a confronto i giganti (nel bene e nel male) di allora con gli attuali dirigenti di un partito alla ricerca di se stesso.

Ma la reazione della “Pd & Associati” alla candidatura – con una sua lista civica sostenuta dal Terzo polo – di Letizia Moratti alla presidenza della Lombardia, ci lascia basiti, increduli e restii a prendere atto di un evidente passaggio ideale da Marx a Tafazzi. Mettiamo in fila gli argomenti secondo un’elementare logica politica. Sono passati pochi mesi da quando la destra, trainata da Giorgia Meloni e da FdI, ha vinto le elezioni. All’interno della coalizione lo sprint di “io sono Giorgia’’ ha cannibalizzato i tradizionali alleati, sfondando non al Sud, ma nelle regioni del Nord, Lombardia compresa.

Ne deriva che, anche nel caso della riconferma della candidatura di Attilio Fontana e di una sua vittoria, la maggioranza in Consiglio regionale risentirà di questi nuovi rapporti di forza.

IL PD E LA TRAVERSATA NEL DESERTO DELL’OPPOSIZIONE

Il Pd, dopo la sconfitta, ha iniziato la traversata del deserto dell’opposizione, senza una precisa direzione di marcia ed è insidiato dalle scorribande dei predoni di Giuseppe Conte. Per inciso sui rapporti tra i dem e Giuseppi bisognerebbe convocare un consulto di autorevoli psichiatri. Dopo un lungo periodo dell’”amor che a nullo amato amar perdona”, i dem hanno rotto ogni rapporto con il M5S, in quanto killer del governo Draghi, pur non esitando ad imbarcare nella coalizione, consapevole di perdere le elezioni, le frazioni verdi rosse che avevano apertamente combattuto la compagine di unità nazionale.

Un minuto dopo la conclusione dello spoglio, i dem si sono divisi proprio sul tema dei rapporti con il M5S che intanto gli sta rubando i voti e il primato nella sinistra. Nel mezzo della più cupa disperazione – lassù qualcuno ama il Pd – si è verificato un fatto insperato. In Lombardia – la regione più importante d’Italia che non ha nulla da invidiare alla Ruhr o alla California – la destra ha perso il centro.

Una personalità come Letizia Moratti – già sindaco di Milano e ministro, appartenente ad una grande famiglia milanese, figlia di un antifascista deportato con il quale partecipava alla sfilata del 25 Aprile, benefattrice di San Patrignano, imprenditrice di successo – per motivi personali e politici, del tutto legittimi, ha deciso di correre in proprio e sta proponendo al Pd un’alleanza riformista, che sarebbe competitiva con la coalizione di centro destra da tempo immemorabile al governo della regione.

NEL LORO FURORE I DEM BRUCIANO UN CANDIDATO DOPO L’ALTRO

Il Pd, che non tocca palla da 40 anni, invece di banchettare con il vitello più grasso, si sente offeso come se avesse ricevuto una proposta oscena, e si nasconde dietro un “MAI’’ indispettito, vomitando – come fanno le persone in malafede costrette a giustificare un comportamento da imbecilli – critiche volgari e rabbiose contro la persona di Letizia Moratti, come se avesse “tradito’’ il centro sinistra e non la destra.

Nella confusione provocata dal loro furore, i dem stanno bruciando un candidato dopo l’altro a partire da Carlo Cottarelli che, da persona normale, correrebbe volentieri (ne siamo convinti) in coppia con Letizia. I geni del Nazareno e dei loro accoliti lombardi non sono così sciocchi da pensare di vincere, anche se riuscisse loro di scomodare Giuliano Pisapia.

L’ALLEANZA CON MORATTI NON GARANTISCE DI VINCERE IN LOMBARDIA MA PER IL PD SAREBBE UN’OCCASIONE

Certo, alleandosi a Moratti non vi sono garanzie di conquistare il Pirellone. Ma riuscire a vincere in Lombardia dopo pochi mesi dalle elezioni politiche vorrebbe dire mettere in difficoltà, in maniera fortunosa, il governo nazionale. Quella per Matteo Salvini (che sta sottraendo la gestione della politica interna a Meloni) sarebbe, poi, una sconfitta a ripetizione.

Ma anche FdI non se la passerebbe tanto bene, perché incasserebbe un sonoro insuccesso a ridosso di una recentissima significativa vittoria. Poi, a conclusione di tutti i possibili ragionamenti, ha interesse il Pd ad alimentare una slavina nel fronte avversario o no?

Vadano a rileggersi il Manifesto del 1948, laddove è scritto che il proletariato ha da perdere solo le proprie catene e un mondo da conquistare. E non vengano a fare i difficili. Nel 2019 non hanno esitato a subentrare al posto della Lega nel Conte 2, fino al punto, nel 2021, di mettersi a cercare i transfughi degli altri gruppi (copyright Scilipoti) per consentire al beneamato Giuseppi di formare un terzo governo.

LA STORIA RECENTE DOVREBBE INSEGNARE

Se ci spingiamo più indietro nel tempo, Massimo D’Alema riuscì a formare il suo unico governo provocando, tramite Francesco Cossiga, un’emorragia nel centro destra. L’Unione di Prodi conteneva al suo interno l’Udeur di Clemente Mastella e cadde quando uscì dalla maggioranza. Lamberto Dini, ministro del Tesoro del primo Silvio Berlusconi, entrò a far parte, con la sua lista, delle coalizioni di centro sinistra e fu ministro degli Esteri del governo Prodi. Ci fermiamo qui. Ci piace immaginare che Togliatti, ormai rappacificato con la divinità si rivolga ad essa con questa implorazione: “Signore, perdona loro che non sanno quello che stanno facendo!’’.


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