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SI VA a tentativi quando si devono dare regole un fenomeno così epocale come l’immigrazione dall’Africa. Stretti tra l’esigenza di “rimanere umani” e d’altra parte limitare gli ingressi, per evitare che come si afferma da parte di molti, compresa Ursula von der Leyen, il flusso non venga gestito dagli scafisti, la strada è pericolosa. I tentativi vanno nella direzione di accordi con i paesi del Nord Africa, che implementino il controllo sulle partenze dai propri territori, magari per averne un vantaggio economico. Ma dalla parte del nostro Paese è anche legittima la preoccupazione che i centri di permanenza, che si impianteranno lì, non diventino dei lager, come già accade in Libia.

Nel tentativo di trovare regole nuove si cerca di individuare soluzioni diverse, con accordi come quello fatto con l’Albania che funzionino da deterrente per coloro che intraprendono il viaggio, perché sappiano che l’immigrazione potrebbe finire in una realtà al di fuori dell’Unione Europea, per cui in caso di fuga sarebbero sottoposti ad una legislazione diversa. Le regole, varate e che si richiamano erroneamente a Cutro, dove si è verificata una tragedia che non ha nulla a che vedere con la capacità di accoglienza del Sud, ampliano i canali per chi vuole entrare in Italia per lavoro, scoraggiando al contempo l’immigrazione irregolare. Viene abrogata la protezione speciale a salvaguardia della vita privata e familiare. Tentativi per scoraggiare gli ingressi e rendere sempre più difficile il fenomeno clandestino, con l’obiettivo invece di favorire gli ingressi regolari. Perché è evidente che il Paese ha bisogno di lavoratori, malgrado abbia un numero elevatissimo di “occupabili” che non sono entrati nel mercato del lavoro, nemmeno come disoccupati, ma deve poter attivare i canali ufficiali ed evitare quelli che danno lavoro e soldi ai mercanti di vite umane. Accade tale fenomeno perché il mercato del lavoro è segmentato e ovviamente se si richiedono persone per la raccolta dell’uva o dei pomodori non risponderà all’annuncio l’ingegnere elettronico.

I vantaggi della immigrazione regolare sono molteplici, tra tutti quello che vi è un’azienda o una famiglia che richiede il lavoratore e che quindi si preoccuperà dell’accoglienza e dell’inserimento di chi arriva. In tal modo evitando quel triste fenomeno delle stazioni ferroviarie e delle piazze di tante città trasformate in dormitori all’aperto. Visioni che poi incidono sulla sensazione di sicurezza dei cittadini, sugli equilibri sociali, nonché sulle reazioni elettorali di tanti.

Il fenomeno dell’immigrazione può essere considerato da due punti di vista diversi. Se come fa Papa Francesco o anche Matteo Garrone lo guardiamo dal punto di vista della persona, non si può non concordare con chi dice che non scegliamo dove nascere ma dobbiamo poter scegliere dove vivere. Se invece lo guadiamo dal punto di vista di chi governa una nazione, la cosa diventa molto più complicata. Ci si deve preoccupare, oltre che del diritto dell’individuo, anche della tenuta del sistema sociale, che eccessivi ingressi contemporanei possono mettere in discussione. Per questo può sembrare che alcuni operatori siano i buoni e altri, in particolare i governanti, i cattivi.

L’esempio della Gran Bretagna che individua la Ruanda o navi al largo per trasferirci i migranti è esemplificativo. O quello degli Usa, ai confini con il Messico, o dell’Australia, nelle quali realtà si arriva a sparare a vista, sembra inumano e certamente per molti aspetti lo è. Come il trattamento di tanti migranti ai confini tra Bielorussia e Polonia, nelle quali realtà vengono usati come arma di ricatto. Ma il problema è di quelli epocali e come tale va affrontato, senza semplificazioni o vie di fuga. Certamente coinvolgere l’Unione nella problematica è fondamentale, perché se è vero che il primo approdo è in Italia, e prevalentemente in Sicilia, non si può caricare la problematica sulle sponde di primo arrivo. Per esemplificare: quello che è stato fatto con Lampedusa è inaccettabile, perché anche quell’Isola ha diritto a seguire la sua vocazione turistica, spesso in contrasto con il fenomeno migrazione. Problematica che, se è estesa, riguarda porto Empedocle come Pozzallo, Comuni che spesso vengono lasciati soli, anche da un punto di vista economico, a gestire l’emergenza. L’aumento della spazzatura o la fornitura d’acqua conseguenti alle migliaia di sbarchi nell’Isola pelagica sono state per anni a carico delle casse comunali e quindi dei contribuenti lampedusani.

Quindi il fenomeno va gestito con due indirizzi: uno che scoraggi l’immigrazione irregolare con regole severe e che vengano applicate, il secondo che consideri il fenomeno strutturale e come tale da gestire, con accoglienza, inserimento, integrazione nel rispetto delle individualità, delle abitudini e del credo di ciascuno. Facile a dirsi e difficilissimo a farsi, se si guardano le nostre carceri affollate da extra comunitari. Senza mai perdere di vista che ciò che ci contraddistingue da molti altri popoli riguarda il fatto che noi abbiamo 2.000 anni di civiltà alle spalle, che quando altri stavano sugli alberi noi discutevano nelle agorá di filosofia; che noi siamo quelli che accogliamo Enea, che ha Anchise sulle spalle e tiene per mano Ascanio, che fuggono da Troia in fiamme. E sappiamo che tutto questo non è solo un prezzo da pagare ma anche una grande occasione di arricchimento, di una società che ormai chiusa nel suo egoismo non fa più figli e rischia di estinguersi. La distanza tra il buonismo dell’accogliamo tutti e la chiusura dei porti sembra enorme. Ma il compito di chi governa è trovare la sintesi tra le varie esigenze contrapposte, senza dimenticare quell’umanità che alcune volte dimentichiamo che abbiamo il dovere di conservare.


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