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La festa in campo per la vittoria del trofeo

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Ritorno alla normalità, almeno per un mese, gettandoci dietro le spalle quasi due anni di ordinaria tragedia.

La piacevole sensazione di essere tornati alla vita che conoscevamo (a volte sottovalutandola), quando un abbraccio, una serata con gli amici, una partita allo stadio appartenevano alla nostra quotidianità di uomini e donne liberi, almeno in questa parte del mondo.

È il frutto dell’ottimismo generato dalla campagna vaccinale su cui si sono innestati gli Europei di calcio e lo straordinario cammino della nazionale, che ci ha riportati nelle piazze, fra caroselli, bandiere e trombette. Ne pagheremo il conto, inutile dirlo, vista la straordinaria (e infame) capacità di diffusione della variante Delta del coronavirus, sensibile ai sieri (o almeno così sembra) ma tremendamente più contagiosa del ceppo originale.

Le polemiche per lo svolgimento delle ultime gare della competizione in Inghilterra (dove la mutazione ha provocato una drastica risalita dei casi, sia pur a fronte di basse ospedalizzazioni) non erano sterili, considerati i 60mila spettatori ammessi a Wembley.

La possibilità di un focolaio diffuso esiste, come ammesso a radio Lbc dal ministro britannico delle Attività produttive, Kwasi Kwarteng. «Io penso che siamo in grado di gestire il rischio – ha detto – ma non possiamo dire che i rischi non esistano quando si hanno migliaia di persone in un luogo. C’è sempre un margine di rischio nella vita sono fiducioso che non vi sarà un grande focolaio, ma ora non possiamo garantirlo».

Lo stesso vale per le feste in strada dopo le vittorie degli azzurri. Sul punto è intervenuto il virologo Fabio Pregliasco. «Le scene che abbiamo visto – ha spiegato all’Adnkronos – sono qualcosa di micidiale. Non è bello perché significa proprio abbassare la guardia e rendere più facile la vita a questo virus. È chiaro che poi i cortei e i caroselli in macchina con i clacson non sono evitabili, ma speriamo di non passare dai clacson alle sirene delle ambulanze».

E se il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, sulla stessa agenzia stampa aveva invitato a «festeggiare l’Italia ma senza bagordi e con attenzione ai luoghi chiusi», il direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive, Massimo Andreoni, è stato lapidario nel dire «che qualcosa la pagheremo inevitabilmente in termini di contagi con qualche focolaio».

Agli Europei si associa l’estate che, se fisiologicamente limita la circolazione del virus, accresce la mobilità degli italiani, considerato il passaggio in zona bianca di tutto il Paese, per quanto attiene alla circolazione interna, e l’adozione del Green pass a livello europeo per i viaggi all’estero.

Preoccupano i casi come quello di Maiorca, dove una gita di studenti ha provocato un cluster di Delta da quasi mille contagiati nel giro di pochi giorni. Le autorità stanno indagando sulle origini del focolaio, ma è certo che i giovani abbiano partecipato a concerti e feste, in barca e negli hotel.

Dalla Spagna sono rientrate (da positive) alcune ventenni padovane, finite subito in quarantena. Non è un caso che la penisola iberica, nella settimanale mappa sulla diffusione del virus in Europa redatta dall’Ecdc, sia ormai quasi tutta in zona rossa, appena un gradino sopra il peggiore status possibile, quello del rosso scuro. E la Francia (in verde come noi) ha sconsigliato ai suoi cittadini di recarvisi per le vacanze estive.

In Italia tiene banco la questione delle discoteche. La riapertura, inizialmente prevista entro il 10 luglio secondo un protocollo del Cts, è stata congelata dopo i dati legati alla crescita della variante Delta nel nostro Paese e a una lieve ripresa dei contagi. Il settore, dopo oltre un anno di chiusura quasi ininterrotta, è allo stremo e venerdì è sceso in piazza a Roma per chiedere chiarezza.

«Quotidianamente assistiamo ad assembramenti, spesso danzanti, di ogni tipologia e in ogni luogo – ha spiegato la Silb-Fipe in una nota – in piazza, in spiaggia, nei lounge bar, nelle feste private illegali, nei sempre più numerosi rave party. Insomma, si balla ovunque e senza regole, meno nei luoghi dove potrebbero esserci controllo e sicurezza: le discoteche!».

La questione sollevata dall’associazione di categoria dei gestori è quella delle feste abusive. «Parliamoci chiaro: 3 milioni di ragazzi in cerca di divertimento non li fermi – ha avvertito il presidente di Silb-Fipe, Maurizio Pasca, al Quotidiano del Sud – Se i locali saranno chiusi si riuniranno in luoghi improvvisati, non controllati e totalmente irregolari».


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