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Studenti in classe

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Nel 2° Rapporto annuale Eurispes i docenti si esprimono sull’andamento dell’istruzione italiana di scuole e università. Il problema principale è la burocrazia


Un occhio di riguardo al mondo della scuola, dell’università e dell’istruzione in generale è sempre buona pratica. Specie se l’obiettivo fosse quello di analizzare il trend dei percorsi educativi e accademici. E di rimando, individuare eventuali criticità in grado di far scricchiolare l’intero sistema. Gli obiettivi che si è posto Eurispes, stilando il 2° Rapporto annuale sull’andamento del comparto italiano dell’istruzione.
Un documento di primaria importanza, sia in virtù dell’intervallo trascorso dall’ultimo (due decenni), sia per l’interessante parterre di dati messi in luce, analizzando complessivamente 4.827 istituti tra scuole primarie e secondarie di primo grado (1.789); secondarie di secondo grado (842) e Università (2.196); Altrettanto interessante, il fatto che a essere interpellati siano stati i docenti, nell’ottica di un ragionamento più ampio sul sistema visto dal di dentro piuttosto che fruito da destinatari del servizio (come nel caso degli studenti). E proprio il corpo docente (in modo forse sorprendente, sì, ma fino a un certo punto) ha consegnato agli analisti il dato più importante e universalmente concorde (93%): il problema centrale del sistema di istruzione italiano è la burocrazia.

Un aspetto estremamente significativo quello riscontrato da Eurispes. Anche perché tale problematica riscontrata dai docenti attraversa trasversalmente tutto il comparto, dalle scuole primaria all’università. In buona sostanza, è l’appunto dei docenti, il tempo impiegato nel disbrigo delle pratiche burocratiche è quasi maggiore di quello dedicato al lavoro vero e proprio. Non solo. Secondo il rapporto, addirittura una metà e oltre dei docenti italiani si vede costretto a dividere il lavoro tra insegnamento e adempimenti burocratici vari. Il che, in qualche modo, ostacola il lavoro di insegnamento e, soprattutto, allunga inevitabilmente il tempo da dedicare alla giornata lavorativa in generale.

Altra criticità, sostanzialmente comune tra tutti i gradi di istruzione, è legata al piano di investimenti. Non solo per quel che riguarda la quantità ma anche la qualità della spesa destinata a scuole e università. Il tutto partendo da un presupposto, anch’esso in buona misura condiviso tra maestri e professori. Un istituto aggiornato strutturalmente e nelle dotazioni dei servizi possa scongiurare pericoli quali la dispersione scolastica o addirittura la chiusura. Nello specifico, per l’87% dei docenti di primaria e secondaria di primo grado, la spesa è scarsa o insufficiente. Trend praticamente identico per le secondarie di secondo grado (88%) e addirittura rafforzato nelle università, con il 90,2% dei professori convinto che le strategie di investimento siano insufficienti o del tutto sbagliate.

Non tutto, però, sarebbe da buttare. Nonostante le evidenti difficoltà legate alle risorse e ai pantani burocratici, gli insegnanti sono concordi nell’apprezzamento riservato all’autonomia concessa. Sia nei metodi che nei programmi didattici. In questo senso, accanto alla maggior capacità di gestione a seconda di competenze e preparazione delle classi, i docenti riscontrano la sensazione di una centralità nell’educazione degli alunni. Vedendo quindi valorizzato il loro ruolo.
A controbilanciare l’apprezzamento, però, è ancora una volta il risvolto economico. Se quello dell’insegnante è ritenuto tuttora un ruolo centrale, i corrispettivi salariali risultano insoddisfacenti. Sotto questo aspetto, tuttavia, emerge qualche discrepanza tra i docenti scolastici e quelli universitari. Con questi ultimi che lamentano un’insoddisfazione meno diffusa (65%) rispetto ai colleghi dei gradi d’istruzione inferiori, visto che il 90% si è detto poco valorizzato in termini di stipendi percepiti. Un problema che, in realtà, si trascina da qualche anno, anche in relazione all’onerosità psicofisica che il ruolo richiede in modo sempre più marcato.

Un tema, questo, che riguarda prettamente le scuole secondarie. Se una buona metà dei professori universitari (55% circa) riscontrano un calo nella considerazione del ruolo del docente come centrale, i docenti di medie e superiori percepiscono l’esatto opposto ma in un contesto di estrema difficoltà. Ad esempio, il 65% di loro soffre problematiche legate al sovrannumero delle classi. Soprattutto alle superiori (73,5%) e il 90% degli insegnanti si è detto favorevole nel fissare a 15 il limite massimo di alunni per classe.
È chiaro che una soluzione di questo tipo richiederebbe un aggiornamento strutturale che, in molte regioni, è ancora difficile da raggiungere. Del resto, il programma dell’Agenda Sud, con i suoi piani di investimento, si è ripromesso di ovviare anche a problematiche di questo tipo. Investendo non solo nella formazione del personale ma anche nell’adeguamento tecnico degli istituti, oltre che sul piano dei servizi offerti. A cominciare dalla continuità didattica (criticità riscontrata nel 61,2% dei casi nella secondaria).

In sostanza, la semplificazione del lavoro del docente va di pari passo al miglioramento del comparto nella sua interezza. Senza dimenticare che i docenti stessi individuano nelle mancanze di sistema una delle cause della dispersione o dell’abbandono scolastico. Con un occhio anche ai contesti familiari di provenienza degli alunni, specie se vi fosse riscontrato un quadro di povertà culturale. Il potenziamento degli istituti scolastici, soprattutto nelle aree periferiche, dovrà dare risposte anche su questo fronte.


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