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Il quadro dipinto dall’Istat è piuttosto emblematico, il settore del sostegno è in crisi: gli insegnanti sono pochi e chi c’è è costretto a reinventarsi ma con poche competenze

Penuria di disponibilità e rimpiazzo arrangiato. Una tempesta perfetta quella che si è abbattuta (e che tuttora di sta abbattendo) sui posti di sostegno destinati al supporto di alunni con disabilità o difficoltà di apprendimento. Una criticità che combina l’elemento sempre più pressante dei pochi insegnanti abilitati per i tanti casi che ne richiederebbero la presenza. E parallelamente, quello delle supplenze prive di abilitazione, adattate a situazioni che, invece, richiederebbero competenze specifiche, da acquisire attraverso appositi (e tutt’altro che semplici) corsi di abilitazione.
Il quadro dipinto dall’Istat è piuttosto emblematico: al 31 ottobre 2022, addirittura il 25% degli alunni non aveva ancora ricevuto un Piano educativo individualizzato (Pei) ad hoc. Una voragine che, chiaramente, ha finito per trascinare nell’incertezza didattica tutto il comparto dei docenti. In molti casi costretto a reinventarsi in ruoli specifici senza competenze apposite. O a dover adeguare le ore di lezione a una modalità inclusiva anche per gli alunni con necessità di sostegno personalizzato. Questo perché la carenza di Pei influisce, al contempo, anche sulla distribuzione delle ore di sostegno. Costringendo in molti casi gli insegnanti disponibili a una mobilità fin troppo frequente affinché l’alunno possa vedersi garantita una continuità didattica.

Un altro dato fondamentale, riferito dall’Istat, riguarda infatti proprio l’aspetto della permanenza dell’insegnante a sostegno del medesimo alunno per un periodo superiore all’anno scolastico di assegnazione.
Secondo l’Istituto, nell’annata 2022-2023, tale continuità è stata estremamente deficitaria, considerando che il 59,6% degli allievi ha cambiato insegnante di sostegno. Percentuale più marcata per gli alunni delle secondarie di primo grado (62,1%) e nelle scuole dell’infanzia, dove addirittura sono stati toccati picchi del 75%. Un deficit evidente, soprattutto se si considera la variabilità dei Pei messi a disposizione degli alunni (peraltro spesso assenti, come visto). E soprattutto, il differente tipo di approccio da parte del singolo insegnante nei confronti dello studente. Il quale, accanto all’altalena dei programmi, deve fare i conti con le difficoltà del riadattamento a nuove tecniche di sostegno, chiaramente ad personam. Peggio ancora se tale situazione dovesse presentarsi nel corso dell’anno, situazione verificatasi per il 9% degli alunni con sostegno.
Un dato che, peraltro, tiene solo in parte conto della possibilità che, durante l’anno scolastico, l’alunno possa aver cambiato insegnante anche più di una volta.

Nondimeno, a fronte dell’esigenza, ecco palesarsi la strategia degli estremi rimedi. Nello specifico, richiedere a insegnanti con formazioni differenti di dedicarsi al sostegno senza averne gli strumenti formativi. Secondo l’Istat, a fronte di un’offerta sostanzialmente aumentata fino al 10%, il rapporto insegnante-alunno è addirittura superiore di 1,6 volte rispetto a quanto previsto a norma di legge. Senza contare che un terzo degli insegnanti rientra nella categoria degli “adattati”, ossia impiegati nel ruolo senza formazione specifica. Altra variabile dal peso cospicuo riguarda anche le tempistiche di assegnazione: il 12% degli insegnanti di sostegno, infatti, entra in servizio in ritardo rispetto all’inizio dell’anno scolastico.
A tal proposito, il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha fatto sapere che il governo è al lavoro su una normativa. Che dovrebbe garantire maggiore continuità didattica in base all’indice di gradimento riscontrato dalle famiglie degli alunni con sostegno. In pratica, se i genitori fossero soddisfatti, il docente potrà restare accanto all’alunno anche (perlomeno) nell’anno scolastico seguente. Una norma che, se applicata, potrebbe risolvere problematiche isolate, senza tuttavia spostare più di tanto gli equilibri per la risoluzione del problema a lungo termine.

Il paradosso, infatti, è che a fronte di numerosi posti disponibili, scende progressivamente il numero di insegnanti potenzialmente occupabili. In tal senso, rischia di andare nuovamente a vuoto il concorso indetto dal Piemonte per il reclutamento di insegnanti a fronte di una penuria di 14 mila posti. Secondo le statistiche, infatti, sarebbero appena 48 i candidati. Uno squilibrio altrettanto evidente nella formazione specifica che, annualmente, vede coinvolte non più di 600 persone. Un numero infinitesimale rispetto al fabbisogno della regione.
Del resto, il problema del settore specifico va di pari passo alle criticità dell’intero settore. Nei giorni scorsi, infatti, centinaia di insegnanti avevano protestato nella Sala della Protomoteca del Comune di Roma. Lamentando le lungaggini burocratiche non solo nei percorsi di stabilizzazione ma anche di assunzione dei docenti, nonostante l’evidente penuria di cattedre occupate. I manifestanti, perlopiù insegnanti delle scuole dell’infanzia, richiedevano di attingere alle graduatorie con più solerzia a fronte di quasi 6 mila persone in attesa, includendo anche le educatrici del nido. Tutte donne, molte delle quali in attesa da oltre 15 anni.


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