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Vladimir Putin

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LE SANZIONI imposte alla Russia per l’aggressione in Ucraina dagli USA e dai loro alleati asiatici ed europei, stanno suscitando molte discussioni per i loro costi per le economie occidentali e la loro efficacia sull’economia e la politica della Russia. Molti ritengono i costi troppo elevati e distribuiti in modo diseguale fra gli Stati e, al loro interno, fra le loro componenti sociali ed economiche. Ne reclamano l’alleggerimento, soprattutto da quando Putin ha minacciato di chiudere i rubinetti del gas a chi non lo paga in rubli. Attribuiscono gli alti prezzi dell’energia esclusivamente alla reazione occidentale che avrebbe fatto arrabbiare lo Zar del Cremlino. Non hanno dubbi che la cosa sia più complessa, come prova il fatto che il prezzo per KWh del gas naturale era a fine novembre scorso maggiore dell’attuale. Comunque, il dibattito è accanito e lo diventerà sempre più, man mano che si si prolungheranno conflitto e sanzioni. Il dibattito oltre che economico diventerà politico, con il rischio di rompere l’unità occidentale nei confronti della Russia, con la diserzione di taluni Stati dal regime sanzionatorio, a partire da quelli più vulnerabili e da quelli sotto elezioni. L’altro aspetto che infuoca l’attuale dibattito sulle sanzioni riguarda la loro efficacia. Gli oppositori alle sanzioni, spesso con il risolino proprio di coloro che hanno una conoscenza solo approssimata dell’argomento, pongono questo interrogativo: “Perché continuare sanzioni che ci danneggiano, dato che non hanno fermato la guerra, mentre ci procurano solo guai?”.

Ritengo che a tali interrogativi possa essere data risposta solo partendo dall’inizio. Cioè:

  • 1) che cosa siano le sanzioni (e gli embarghi che sono strettamente correlati a esse);
  • 2) perché siano tanto praticate, beninteso soprattutto dagli USA che possono sfruttare la forza del dollaro, del loro sistema finanziario, economico e tecnologico e l’attrattività esercitata dal loro mercato;
  • 3) quale ne sia e in che modo ne vada valutata l’efficacia;
  • 4) quali siano le principali critiche rivolte all’attuale uso delle sanzioni.

1. Le sanzioni sono penalità commerciali, finanziarie o di altra natura (quali divieto di accesso al proprio territorio) imposte a uno Stato o a suoi componenti (industrie, capi politici, ecc.) a scopi politici, economici, militari o sociali (violazione dei diritti umani, ecc.). Sono decise per motivi di politica interna (antidroga, antiterrorismo) o estera (proliferazione, uso di armi internazionalmente proibite, aggressioni armate o loro minaccia). Gli embarghi sono simili. Nella nostra epoca dominata dalla tecnologia, usuali sono gli embarghi strategici, relativi alle tecnologie “duali” (a utilizzazione sia militare che civile, come ormai sono tutte le hi-tech, a cui si aggiungono quelli con finalità esclusivamente economiche non disponibili allo Stato avversario e che lo obbligano ad acquisizioni illegali (soprattutto con lo spionaggio industriale), che costano mediamente il 25% in più di quelle acquisibili sul mercato libero.

Le sanzioni possono essere “generiche”, colpendo tutta la popolazione di uno Stato, oppure “mirate” o “selettive” o “smart” qualora siano dirette contro singoli individui, banche o imprese. Possono poi essere “dirette” o “primarie” oppure “secondarie” o “extraterritoriali”, se colpiscono banche o imprese di Stati terzi, che non rispettino il regime sanzionatorio. Questo secondo tipo di sanzioni (ed embarghi), pur non essendo escluso dai regolamenti dell’UE, è in pratica adottato dai soli USA. Richiede infatti una grande potenza che solo gli USA posseggono per la forza del dollaro, il dominio del sistema finanziario internazionale e l’ampiezza del proprio mercato. I tentativi fatti anche dall’UE di smarcarsi da tale condizionamento sono falliti. Lo si è visto nel caso delle sanzioni all’Iran.

Le imprese europee e asiatiche si sono adeguate alle regole americane anche quando i loro governi intendevano resistere. Era quanto avveniva anche per gli embarghi strategici decisi in ambito CoCom durante la guerra fredda. Il rischio di essere messi sulla “lista nera” dei violatori degli embarghi era troppo alto per tutte le imprese, specie per quelle ad alta tecnologia.

2. Le sanzioni godono di tanta popolarità specie negli USA perché costituiscono una misura intermedia fra le parole della politica e della diplomazia e l’uso della forza, cioè la guerra. Sono inoltre più flessibili della seconda, cioè consentono più facilmente una ritirata o un ridimensionamento degli obiettivi inizialmente perseguiti di quanto lo sia l’uso della forza. Non solo per i regimi autoritari, ma anche per quelli democratici, una ritirata diventa difficile e spesso impossibile, per ragioni di prestigio interno e, soprattutto, per le grandi potenze, anche internazionale. Lo si è visto per gli USA in Afghanistan, In ogni modo, per un’autocrate una sconfitta è più pericolosa che per un leader democratico, Per il primo significa di solito perdere il potere e spesso anche la vita. Per il secondo comporta una sconfitta elettorale.

3. L’efficacia delle sanzioni è difficile da valutare. Innanzitutto, non possono mai essere valutate separatamente dagli altri mezzi (a esempio, supporti d’intelligence, di cyberwar e d’infowar, operazioni covert, rifornimenti di armi e incentivi economici) impiegati dagli Stati che decidono le sanzioni. Poi, perché la durata dei tempi necessari alle sanzioni per divenire efficaci è maggiore da quella degli altri mezzi impiegati dagli Stati.

Le sanzioni hanno effetti significativi solo dopo consistenti tempi dal loro inizio. Come in qualsiasi azione umana, la loro efficacia è più rapida quanto più sono dure. Anche esse obbediscono al principio della massa. Di solito, la loro efficacia non può però essere ottimizzata perché i costi sulla propria economia e le reazioni dell’opinione pubblica non supporterebbero un aumento troppo repentino dei costi che hanno sull’economia e sul consenso dell’opinione pubblica degli Stati che decidono d’imporle. Soprattutto nelle democrazie, ci si deve perciò limitare ad adottare sanzioni meno efficaci di quanto sarebbe auspicabile, ma più sostenibili. Il problema si pone, in particolar modo, in caso di sanzioni multilaterali, sempre preferibili a quelle unilaterali. Infatti, l’efficacia delle sanzioni e degli embarghi richiede che vengano adottati dal maggior numero possibile di Stati. Ognuno di essi ha condizioni e costi diversi.

È praticamente impossibile adottare adeguati meccanismi di compensazione a favore degli Stati e settori più colpiti, anche perché ciascuno pretende di essere stato penalizzato più degli altri. Basta vedere cosa sta avvenendo in Italia con centinaia di albergatori che affermano di essere mortalmente danneggiati dall’assenza di turisti russi. L’analisi di oltre duecento casi di sanzioni fatta dal Petersen Institute of International Economics ha dimostrato che le sanzioni sono tanto più efficaci quanto meno ambizioso è l’obiettivo che si propongono, Ad esempio, non hanno mai provocato l’eliminazione di un dittatore né l’immediata fine di una guerra. Non possono, da sole convincere Putin di ritirare le sue forze dall’Ucraina. Non bisogna pretendere da esse quanto non possono dare. La loro efficacia va valutata in un contesto più generale, tenendo conto che ogni Stato, soprattutto quelli sotto elezioni, prima di ottimizzare l’efficacia delle sanzioni, pensa di diminuire i costi a suo carico.

4. Le principali critiche rivolte al ricorso alle sanzioni – specie a quello troppo disinvolto – riguardano il fatto che per quanto siano “mirate” esse percuotono la massa della popolazione dello Stato colpito, rafforzandone l’unità patriottica e, quindi, il governo. Le sanzioni imposte all’Italia per la guerra d’Etiopia, indussero molti antifascisti da “dare l’oro alla Patria”. Nel caso del Giappone imperiale, le sanzioni imposte dagli USA, dall’UK e dai Paesi Bassi sul petrolio e sull’acciaio furono causa dell’attacco a Pearl Harbour. Poi sia l’impatto, specie quello a lungo termine, sia il costo delle sanzioni per la propria economia e per quelle degli alleati – quindi per la loro coesione – sono sempre imprevedibili, soprattutto se lo Stato colpito da sanzioni è in condizioni di rispondere con ritorsioni.

Infine, per quanto riguarda gli USA, una critica fatta al loro uso troppo frequente di sanzioni è che esso eroderà fra qualche decennio la forza del dollaro. La moneta è un bene pubblico. Quella dominante come il dollaro è un bene pubblico mondiale. Il suo uso nell’esclusivo interesse degli USA ne erode l’affidabilità e potrebbe modificarne il ruolo di standard monetario globale che oggi possiede. Si creerebbe un caos generale, dato che nessuna Fiat Money, neppure l’euro e, tanto meno lo yuan cinese, è in condizioni di sostituirlo, anche per l’affidabilità del sistema legale americano, la sua capacità di creare liquidità e le dimensioni del mercato degli USA.


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