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Bruxelles e le divisioni: Jeremie, congolese: «Città multiculturale e aperta, ma è un posto dove vivi bene finché stai con la tua comunità»

La capitale dell’Europa unita tutto è tranne che unita, a cominciare dai suoi quartieri etnicamente separati, per proseguire con la divisione più conosciuta tra valloni e fiamminghi. Però non ce lo dicono, per parafrasare un motto dei complottisti nostrani, lo nascondono dietro l’asetticità di un ordine sociale in cui le regole non si discutono, almeno in pubblico, e la ricerca dell’anonimato, che sembra farti capire perché Magritte, belga, nascondeva i volti degli umani nei suoi quadri.

Troppo complicato? Certo, è proprio così, Bruxelles è una città molto complicata, l’esatto contrario delle cartoline che vediamo in televisione e dei luoghi comuni sui belgi, a cominciare da quelli per cui già pochi chilometri dopo il confine, a Lille, i francesi sostituiscono i loro vicini ai nostri carabinieri nelle barzellette. Non si offenda nessuno, per carità, sono luoghi comuni, appunto, così come in realtà esistono meridionali che odiano la confusione e settentrionali passionali.

BRUXELLES, L’ORDINE E LE DIVISIONI: LE STORIE DI CHI CI VIVE

Ma devi conoscere chi qui ci vive da molto per poterli sfatare questi luoghi comuni. Perché se parli con Giampiero, ad esempio, un trentenne italiano che lavora come assistente al Parlamento europeo, che va avanti e indietro da Milano con un trolley come prolunga da ormai due anni, ti descriverà una capitale noiosa dove la gente beve da sola nei bar intristendosi, come da manuale. Ma se parli con Riccardo, che lavora per un’agenzia delle Nazioni Unite e che per questioni familiari si è trasferito a Bruxelles dieci anni fa, scopri che l’integrazione sociale di cui il Parlamento europeo è alfiere, con risoluzioni che poi dovrebbero adottare gli altri stati, è ancora lontana da venire.

Allora, armiamoci di scarpe robuste e percorriamola insieme questa capitale che credevamo di conoscere. Riccardo mi mette in contatto con Francoise, giovane marocchina, trent’anni circa, che lavora con La Voix des Femmes, un’associazione che promuove la crescita e l’autostima delle donne immigrate. È ostile, mi tollera soltanto perché mi ha presentato Riccardo e ha i suoi motivi. “Fai il tuo articolo che commuove per un giorno e poi te ne freghi, come tutti”.

LA VIOLENZA NASCOSTA DIETRO L’ORDINE

Allora fallo tu il tuo articolo, le propongo, dimmi cosa scriveresti tu. “Parlerei di una mia amica nigeriana ammazzata nel 2019 nel quartiere di Molenbeek, aveva 21 anni. Scriverei di quei quattro figli di puttana che hanno rapito e violentato una ragazza somala in un parco in pieno centro cinque anni fa. Erano belgi anche se figli d’immigrati, nati e cresciuti qua”.

L’elenco che mi fa è molto più lungo in realtà. Mi parla anche del primo caso che ha seguito nel 2015, una ragazza afghana di 18 anni uccisa dal padre e dal fratello perché aveva rifiutato di sposare l’uomo scelto dalla sua famiglia. Le giovani donne immigrate hanno maggiori difficoltà nell’accesso all’istruzione e all’occupazione rispetto ai loro coetanei belgi o a giovani immigrati di sesso maschile, mi spiega Francoise. Nel frattempo arriva nel bar in cui stiamo parlando Jeremie, un suo amico congolese. 25 anni, da poco laureato in sociologia, che si unisce alla conversazione.

BRUXELLES CITTÀ MULTICULTURALE E APERTA CHE NASCONDE TANTE DIVISIONI

“Questa città è multiculturale e aperta, ho potuto studiare e ricevere aiuto anche economico, non voglio disprezzarla – mi dice abbassando la voce, forse per paura di far arrabbiare anche lui Francoise – ma è anche un posto dove vivi bene soltanto finché stai con i tuoi, con la tua comunità e limiti i rapporti con le istituzioni al necessario”. Mi racconta delle difficoltà dei suoi amici a ottenere una status giuridico pari a quello dei coetanei belgi. Degli affitti rifiutati con varie scuse ai neri. “L’integrazione avviene sul lavoro più che fuori”, precisa parlandomi dei suoi genitori, ormai residenti qui da tre decenni. In quartieri come Ixelles, Saint-Gilles e Schaerbeek, mi spiega Riccardo quando salutiamo i due interlocutori, trovi molta vivacità culturale proprio perché frequentati da studenti, meno attenti dei loro genitori alle differenze etniche.

C’è un però che vuole mostrarmi di persona. Le istituzioni cittadine hanno creato alloggi sociali per le persone a basso reddito ma le case sono poche rispetto alla domanda. Quindi la questione della casa si propone anche per i belgi con pochi soldi in tasca. Questo ha facilitato una sorta di segregazione tra i quartieri di Bruxelles. La segregazione socio-economica, che si verifica quando le persone più povere vivono negli stessi quartieri, spesso in alloggi sociali. Gli immigrati tendono a concentrarsi in alcuni quartieri e questa tendenza è stata rafforzata dalla mancanza di politiche abitative che tengano conto delle esigenze specifiche delle minoranze.

DALLA CRUDA REALTÀ DELLE PERIFERIE ALLE FACCIATE DEL QUARTIERE EUROPEO

Così quando dal già citato Molenbeek, abitato in prevalenza da marocchini, torniamo verso il quartiere Europeo, quello che ospita le istituzioni, quello dei ricchi per capirci, inaccessibile anche a un belga con uno stipendio medio, il Palazzo delle istituzioni sembra come le facciate delle case e dei saloon nei film western anni ‘70: dietro sono tenute in piedi soltanto da una misera trave di legno. A pochi passi dalla capitale c’è poi Matonge, nel comune di Ixelles, abitato principalmente da persone di origine africana. Laeken è invece un comune situato a nord di Bruxelles che presenta un doppio volto, la prevalenza di case lussuose nasconde gli alloggi sociali abitati principalmente da turchi e marocchini.

Quanto alla sicurezza della città è stata violata più volte. Dalla brutalità della polizia durante l’arresto di un adolescente di origine marocchina nel 2015 agli attacchi terroristici rivendicati dall’Isis del 22 marzo 2016, due presso l’aeroporto di Bruxelles-National e uno alla stazione della metropolitana di Maelbeek/Maalbeek, che hanno provocato 32 morti e più di 200 feriti. Atti che hanno portato a un aumento dell’islamofobia e del razzismo nei confronti dei musulmani in città. Il processo si sta celebrando proprio in questi giorni, ma la città non sembra interessarsene molto, come se volesse rimuovere quei giorni che risalgono soltanto a pochi anni fa.

Bruxelles vuole presentarsi pulita e linda, è un centro finanziario piuttosto importante e, anche se non molti lo sanno, è un centro di innovazione tecnologica, con molte start-up. Anche per questi motivi, insieme alle numerose università, è un centro che attrae giovani da tutto il Belgio e anche da altre nazioni.

IL CONFLITTO TRA IMMIGRATI E BELGI A BRUXELLES METTE IN SECONDO PIANO LE DIVISIONI TRA VALLONI E FIAMMINGHI

Il conflitto tra immigrati e belgi ha messo in secondo piano la storica rivalità interna tra valloni e fiamminghi, che negli anni passati aveva raggiunto livelli di scontro che sarebbero piaciuti ai leghisti secessionisti di casa nostra. Poi è arrivata la Costituzione belga del 1993, che ha portato a delle divisioni in tre l’amministrazione dello Stato: fiamminghi al nord poi il distretto di Bruxelles “capitale” e i valloni al sud, più o meno.

L’ultimo giro in città non puoi che dedicarlo a Manneken Pis, la statua in bronzo che raffigura un bambino che fa pipì. È al momento l’unico individuo, da queste parti, che possa permettersi un gesto sopra le righe senza destare scandalo ed essere fotografato dai turisti, anziché prendersi una multa.


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