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Enrico Ruggeri

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Ha da poco inciso “L’America”, canzone dedicata a Chico Forti, l’italiano detenuto negli States da vent’anni con l’accusa di un omicidio di cui si è sempre dichiarato innocente. Il tema della libertà è caro a Enrico Ruggeri, voce critica nei confronti delle misure restrittive adottate per far fronte alla pandemia. «Per paura di morire, abbiamo rinunciato a vivere», ribadisce in un’intervista al Quotidiano del Sud.

Questa frase la rappresenta molto?

«Non sono un medico, dunque non posso addentrarmi in discorsi tecnici. Però posso valutare ciò che vedo: questa è una società che ha paura della morte. Lo dimostra il fatto che ci siamo chiusi in casa, che abbiamo accettato qualsiasi imposizione per una malattia sì terribile, ma che uccide mediamente persone di 83 anni, età che corrisponde all’aspettativa di vita media degli italiani».

Non crede che andassero prese delle precauzioni per tutelare gli anziani e alleggerire la pressione sugli ospedali?

«Sono d’accordo. Io mi attengo alle procedure: indosso la mascherina, mi disinfetto le mani. Prima del Covid avevo l’abitudine, dopo i lavori nel mio studio, di offrire la cena ai miei collaboratori. Ora non si può più andare a cena, così offro tamponi ogni 4-5 giorni».

E allora?

«Allora occorre essere almeno coerenti. Io faccio un’ora di moto al giorno, cerco di seguire un’alimentazione sana. Mi fa ridere che c’è gente che magari ha 400 di colesterolo, mangia abitualmente fritture e poi gira con la mascherina all’aperto».

Lei allenterebbe le restrizioni?

«Ma certo. Dobbiamo abituarci a convivere con il Covid. I nostri antenati hanno convissuto con la lebbra. E noi, occorre ricordarlo, conviviamo con numerose malattie che continuano a colpire e uccidere».

Quanto impatta questa situazione sul mondo della musica?

«Io sostengo che da un punto di vista sociale, finché non riparte la musica, non è ripartito niente. Perché il concerto è cultura, divertimento, condivisione, è qualcosa di imprescindibile. E poi c’è un problema economico: tante persone stanno morendo di fame, non mi riferisco ai cantanti che vanno sul palco, ma ai lavoratori dietro le quinte. Il mondo dello spettacolo è stato snobbato».

Riaprirebbe cinema, teatri e concerti?

«Le soluzioni per riaprire ci sarebbero. Basterebbe che all’ingresso fosse richiesto il tampone negativo oppure venisse allestito un triage per effettuare il test seduta stante. All’estero si fa così».

Sarebbe però una spesa importante…

«Ma non costerebbe meno di quanto sono costati i banchi a rotelle».

Si ritiene, tuttavia, che la musica non sia un “bene indispensabile”…

«Incredibile. Ancora più incredibile è che sia d’accordo il ministro della Cultura. Se non si oppone a questa situazione lui, che dovrebbe essere il garante di un certo mondo, non lo faranno certo gli altri».

In tanti dicono “vabè, teniamo duro ancora qualche mese, poi ci faremo il vaccino e tornerà tutto come prima”…

«Io sono anche disposto a farmi il vaccino senza pormi troppe domande. Però lo faccio a condizione che dopo davvero si torni alla normalità. Fatto il vaccino non voglio più essere obbligato a indossare la mascherina e non voglio più vedere un virologo in tv. Invece sento dire che dovremo continuare a subire restrizioni. E allora no, in questo caso che me lo faccio a fare…»

La sua è una voce controcorrente. I suoi colleghi musicisti come la valutano?

«Hanno tutti paura. Io ricevo una marea di attestati di stima, ma in privato, dagli stessi che poi in pubblico non si espongono».

I giovani come stanno vivendo le privazioni delle libertà?

«Mi sembrano smarriti dall’assenza di ideologie. Però ho molto apprezzato le manifestazioni dei liceali per poter tornare alla scuola in presenza. Uno dei tanti effetti devastanti di questa situazione è proprio l’averli privati della socialità in un’età in cui è fondamentale».

Lei ha scritto un romanzo, «Un gioco da ragazzi», i cui protagonisti sono impegnati in politica negli anni di piombo: una realtà molto distante da quella odierna?

«Prima c’erano Berlinguer, Moro, Andreotti, Almirante. Figure di un’altra levatura rispetto alla classe politica attuale. È tutto cambiato. Basti pensare che un tempo si aveva l’idea che la sinistra difendesse i diseredati e la destra i privilegi, oggi in tutto il mondo sta accadendo il contrario: nelle banlieue francesi votano Le Pen, nei quartieri ricchi di Milano Sala».


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