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Da hobby a professione il passo è breve. E per i social media è stato compiuto già da diversi anni. Ma col trascorrere del tempo fioccano nuove opportunità riservate a quanti hanno deciso di investire in una formazione orientata alla conoscenza di queste piattaforme, il cui potenziale diffusivo (e quindi pubblicitario) è sostanzialmente illimitato.

Una delle figure più recenti è quella del Growth hacker (letteralmente “pirata della crescita”) particolarmente richiesta nelle aziende americane e in rapida ascesa anche in Italia. L’impiego è a metà fra marketing e l’analisi dei dati e della tecnologia, con l’obiettivo di gestire, sperimentare e implementare tecniche di crescita innovative che facciano crescere la clientela e minimizzare i costi.

Più conosciuto è il social media manager che, sostanzialmente, cura il posizionamento social di una determinata azienda, in modo da accrescerne la visibilità e di ampliarne la fanbase, la quale coincide con la clientela potenziale.

Non molto diverso è il ruolo del community manager, anche se più specifico e mirato ai componenti di una determinata comunità social, solitamente ordinata attorno a determinati “gusti”, da soddisfare con i prodotti proposti dall’azienda. Non male lo stipendio medio annuale per questa figura: 60mila euro. E come tante altre professioni social può essere svolta all’interno di una determinata società o in consulenza per conto di un’agenzia di comunicazione.

C’è poi il brand manager, deputato a sviluppare e a gestire la brand identity del cliente o di un prodotto specifico. Particolarmente ricercato è il copywriter, ovvero il creatore di contenuti (per il web), che aiuta una determinata azienda a realizzare una comunicazione mirata per le diverse piattaforme utilizzate in ambito professionale, dai 160 caratteri di Twitter ai post illimitati di Facebook e Instagram.

All’apparenza può sembrare un gioco da ragazzi ma non è così: possono volerci diversi anni per acquisire le giuste competenze, cui si aggiunge la necessità di una formazione continua. Mediamente un copywriter può arrivare a guadagnare dai 40mila l’anno euro in su.

Ma i social offrono spazi e opportunità anche a chi voglia mettersi in proprio. E non è un mistero che, fra i lavori dei sogni dei giovani in questa fase storica, ci siano quello di influencer, blogger, youtuber e videoblogger (vlogger). Il minimo comune denominatore di queste attività è rappresentato dalla capacità di trovare un argomento accattivante, svilupparlo online e sapersi ritagliare la giusta fetta di pubblico. Il seguito è fondamentale per entrare nel mirino di grandi aziende che punteranno sulle vostre capacità di veicolazione del messaggio per promuovere se stesse e i propri prodotti.

Attenzione però: le nuove piattaforme stanno via via diventando sempre più rilevanti anche in ambito recruiting. Ovvero nella ricerca del personale per posizioni che, magari, non hanno nulla a che vedere con i social in sé. Da qui l’invito, quando ci si candida per un determinato lavoro, a curare molto bene il proprio posizionamento in rete e la cosiddetta digital reputation, vera e propria summa della propria condotta online. Perché molte aziende non limitano l’analisi dei profili all’esame del cv, a un colloquio soddisfacente, ma indagano più a fondo il candidato, proprio sui social network.

E non parliamo solo di Linkedin, a ciò deputato, ma anche di Facebook e Instagram che per la loro connotazione “personale” offrono un’immagine più realistica dell’aspirante dipendente. Adecco, società leader nell’ambito dell’offerta di lavoro, ha pubblicato alcune linee guida sul social recruiting.

Fra i consigli: curare il personal brand, corretta gestione dei profili personali, coltivare il proprio network professionale, adeguare per quanto possibile la pagina al settore professionale oggetto di interesse. Una buona idea potrebbe essere quella di creare un profilo “professionale” alternativo a quello più strettamente professionale, che potremo proteggere da occhi indiscreti con un saggio ricorso ai filtri.


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