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IL CAPITALE umano e la sua formazione è l’asset più importante per le imprese, che tuttavia non figura a bilancio se non come un costo. Invece dovrebbe entrare nello stato patrimoniale. È necessario investire sul capitale umano, un po’ come si investe in ricerca, innovazione, macchinari. Altrimenti l’azienda va fuori mercato. Più le competenze del lavoratore stanno agganciate alle traiettorie di sviluppo dell’impresa, maggiori saranno i vantaggi per tutti e importanti i benefici in termini di produttività. Maggiore è la produttività maggiori saranno i ritorni su investimenti, su nuove assunzioni e su incrementi salariali. Ma come sta cambiando la percezione del capitale umano come risorsa strategica per la competitività delle imprese? E come si stanno muovendo le imprese familiari e non nel nostro Paese per investire nella formazione delle risorse umane?

Le risposte sono contenute nel Rapporto “Strategie e politiche di formazione nelle imprese familiari” realizzato dall’Associazione manageriale per la formazione manageriale (ASFOR), dal Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne e da CUOA Business School, con la somministrazione di un questionario ad un campione di 4.000 imprese (3.000 del comparto manifatturiero e 1.000 del terziario) sia di tipo familiare, sia non familiare, con un numero di dipendenti compreso tra 5 e 499. E i risultati sono sorprendenti. Sette imprese familiari su dieci investono nella formazione per accrescere le competenze dei propri lavoratori aumentando così la competitività nel mercato e la capacità di affrontare le sfide dei cambiamenti epocali cui il mondo è chiamato. Ma il family business è in ritardo rispetto alle aziende non di famiglia (77%).

La propensione ad investire nella formazione delle risorse umane è più alta tra i giovani imprenditori (73%), mentre fanno più fatica le imprese a guida femminile (66%) e le piccole imprese (65%). Inoltre sono molte di più le imprese del Mezzogiorno (il 39%) che destinano quote crescenti dei ricavi alla formazione rispetto a quelle del Centro-Nord (il 34%) e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business le prime con il 30% battono le seconde che si fermano al 24%.

Le imprese del sud investono nel capitale umano

Lo studio pone in particolare l’accento sulle aziende del Mezzogiorno e sugli imprenditori con meno di 35 anni d’età che sembrano avere maggiore consapevolezza che, per cambiare passo, non è sufficiente puntare sulla manutenzione del “bagaglio” delle competenze già acquisite, ma occorre investire sul capitale umano molte più risorse in modo costante e puntiglioso. “Le imprese familiari, che rappresentano l’89% del tessuto produttivo, hanno dimostrato di essere un motore di sviluppo essenziale per il Paese. Per favorirne la crescita diventa centrale investire nel capitale umano attraverso percorsi di formazione in grado di fare elevare le competenze necessarie a gestire, se non anticipare, i cambiamenti” dice il presidente del Centro Studi Tagliacarne, Giuseppe Molinari.

Testimonianze: la formazione muove il business delle imprese

“E’ fondamentale per un’azienda che si occupa di creatività preservare la qualità del lavoro. Perché questo si verifichi è indispensabile l’investimento nelle competenze dei nostri collaboratori” dice Ugo Parodi Giusino, ceo e fondatore di Mosaicoon, la startup di Palermo che si occupa della creazione, distribuzione e monitoraggio di campagne pubblicitarie virali sul web. Ma di imprenditori del Sud che hanno “costruito” il loro successo investendo e molto sul capitale umano non ne mancano. Un altro esempio è quello della Macnil, un’azienda di informatica, elettronica e telecomunicazioni, specializzata nello sviluppo di Progetti M2M e IoT (Internet delle cose), situata a Gravina di Puglia (Bari) e fondata da Mariarita Costanza e dal marito Nicola Lavenuta. L’azienda progetta sistemi integrati per le Smart City e sistemi di telecontrollo nei settori Automotive, Telematics e Telemedicina. Sviluppa piattaforme di Digital Mobile Marketing per creare, pubblicare e misurare landing page per smartphone e social network. “Noi abbiamo sempre pensato che il Sud ce la può fare a voltare pagina e ad avviare imprese di successo” dicono i due imprenditori pugliesi. “Ma la formazione è importante. Proprio per questo, abbiamo fatto leva soprattutto sulle competenze professionali che sono essenziali nel mondo dell’IT. E quindi è su di esse che abbiamo e continuiamo ad investire, perché se non lo facessimo non potremmo tenere il passo di un settore in costante divenire e rischieremmo di uscire dal mercato”.

Up-skilling, l’attività di formazione più gettonata dalle imprese

Il 66% delle imprese familiari ha investito tra il 2017-19 e investirà tra il 2022 e il 2024 in up-skilling, ovvero nella formazione del personale dipendente per far crescere le competenze tecnico-professionali (contro il 75% delle imprese non familiari). Mentre il 52% preferisce concentrarsi sul re-skilling, cioè sullo sviluppo di nuove competenze tecnico-professionali (contro il 66%). Meno appeal ha, invece, l’attività formativa che sta alla base dei veri e propri cambiamenti. Solo il 35% sta programmando corsi per aumentare la responsabilizzazione, la capacità di iniziativa e di innovazione delle risorse umane, ovvero l’intrapreneurship (contro il 53%) e il 25% per migliorare la capacità manageriale di gestire nuovi modelli di business idonei a cavalcare per esempio la duplice transizione (contro il 43%). In ogni caso anche il titolo di studio dell’imprenditore sembra fare la differenza: la quota di quelle che investono (2017-19 e 2022-24) in formazione è pari al 55% se l’imprenditore ha al massimo la licenza media e sale al 68% se ha il diploma fino ad arrivare a toccare il 78% se è laureato.

L’autofinanziamento è il principale canale al quale ricorrerà l’80% di queste imprese per finanziare i percorsi formativi programmati, mentre solo il 29% usufruirà dei fondi regionali e il 23% dei fondi interprofessionali. Le imprese familiari del Mezzogiorno e gli imprenditori under 35 sembrano avere maggiore consapevolezza che per essere più dinamiche non basta puntare sull’aggiornamento delle competenze acquisite. Anche per questo investono di più nell’intrapreneurship, rispetto a quelle del Centro-Nord (il 39% delle imprese del Mezzogiorno investirà nel 2022-24 e vi ha investito nel periodo 2017-19, contro il 34% di quelle del Centro-Nord) e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business (30% contro il 24%).

Le imprese giovanili fanno formazione più delle femminili

Il 73% delle imprese familiari giovanili ha investito in attività formative nel periodo 2017-19 e continuerà a farlo anche nel triennio 2022-24 in almeno una delle tipologie di formazione (contro il 68% delle imprese familiari non giovanili). Ma nelle imprese familiari guidate da donne solo il 66% ha investito nel periodo 2017-19 e proseguirà anche nel triennio 2022-24 (contro il 70% delle imprese familiari non femminili). Tuttavia, sia le aziende familiari under 35, sia quelle femminili mostrano una maggiore propensione ad investire nella formazione orientata a produrre cambiamento rispetto alle altre. Il 30% delle imprese giovanili che ha investito nel 2017-19 continuerà ad investire nel 2022-24 in corsi manageriali per nuovi modelli di business (contro il 24% nel caso delle imprese non giovanili), una quota che scende al 28% nelle imprese familiari femminili ma che resta più elevata di 3 punti percentuali rispetto a quelle dei loro colleghi maschi (25%). Le politiche di formazione del personale fanno fatica ad affermarsi tra le aziende familiari più piccole (con meno di 50 addetti). Solo il 65% di queste investirà nel triennio 2022-24 e lo ha fatto nel periodo 2017-19, contro l’86% di quelle medio-grandi. Un fenomeno che risulta più marcato per la formazione in re-skilling -dove le imprese che investiranno sono il 47% tra le piccole e il 71% nel caso delle medio-grandi – e in orientamento intra-imprenditoriale (30% contro il 54%).


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