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Stop allo smart working anche nel privato; dal primo aprile è possibile solo con accordi individuali con i datori di lavoro


La pratica dello smart working è stata una delle maggiori innovazioni emerse durante la pandemia, quando, a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, molte aziende sono state costrette a ridefinire i propri spazi lavorativi, spingendo i dipendenti a frequentare gli uffici solo se strettamente necessario.
In questi anni, di smart working se ne è parlato parecchio e questa pratica, inizialmente poco diffusa, ha certamente contribuito a ridefinire il concetto tradizionale di lavoro. Anche a seguito del lockdown è stata infatti prorogata diverse volte sia nel settore pubblico che in quello privato.

DAL 1° APRILE STOP ALLO SMART WORKING ANCHE NEL PRIVATO

Dopo diversi anni, lo scorso 1° aprile ha segnato la fine delle agevolazioni per il lavoro agile nel settore privato (mentre quelle per i dipendenti pubblici erano già scadute il 31 dicembre 2023), sebbene sia ancora possibile praticarlo tramite accordi individuali con i datori di lavoro. Questa transizione indica insomma un ritorno parziale alla normalità lavorativa pre-pandemica, sebbene con una maggiore necessità di negoziare soluzioni flessibili tra le parti coinvolte.

GLI EFFETTI DELLO SMART WORKING NEGLI ULTIMI ANNI

Ma quali sono stati gli effetti dello smart working negli ultimi anni? Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 in Italia c’erano ancora 3,585 milioni di lavoratori che operavano da remoto, cifra che segnala addirittura un aumento del 541% rispetto al periodo precedente alla pandemia. L’implementazione dello smart working ha avuto implicazioni significative su diversi fronti, fra i quali quello dell’occupazione femminile. Per quanto riguarda le donne, infatti, sembra che il lavoro agile abbia aumentato le opportunità di occupazione femminile, segnando una differenza di tendenza rispetto al periodo pandemico, in cui le donne rappresentavano il 55% dei lavoratori ad aver perso il lavoro.

I DATI ISTAT NEL 2022

Nel 2022, secondo dati forniti dall’Istat, l’11% degli uomini e il 13,8% delle donne hanno lavorato da casa. Ciononostante, anche lo smart working ha comunque comportato una serie di riflessioni sulle dinamiche di genere nel mondo del lavoro. Considerando infatti che l’educazione tradizionalmente differenziata per genere ha contribuito nel tempo a consolidare un modello culturale in cui le donne sono spesso considerate responsabili delle attività domestiche e della cura dei figli, questo preconcetto ha in diversi casi comportato un aumento dell’impegno familiare per le donne che lavoravano da remoto, con possibili conseguenze negative sulla loro produttività professionale.

SMART WORKING IN LOCKDOWN

È stato del resto osservato che durante il lockdown le donne hanno prodotto meno pubblicazioni accademiche rispetto agli uomini, probabilmente, anche a causa del maggiore carico di lavoro domestico. L’adozione dello smart working ha anche evidenziato (e in alcuni casi amplificato) le disuguaglianze di genere già presenti nel contesto lavorativo. Sebbene uno dei vantaggi dello smart working sia infatti quello di poter disporre più liberamente del proprio tempo, in un contesto sociale in cui il divario di genere è ancora molto diffuso e le donne tendono a occupare posizioni medio-basse, le lavoratrici femminili rischiano più facilmente l’isolamento sociale e danni alla carriera. Non solo per le donne, ma anche per i giovani sono emerse diverse perplessità riguardo allo smart working.

LO STUDIO DI RIPORTATO DA REPUBBLICA

Secondo uno studio riportato da Repubblica, questa modalità di lavoro ha influito sull’organizzazione del lavoro e sulle prospettive delle nuove generazioni; da un lato, lo smart working ha offerto una maggiore flessibilità e comodità, unita a un risparmio sui costi di trasporto. Dall’altro, tuttavia, si è manifestata una diffusa preoccupazione per le implicazioni sulla carriera, soprattutto dei giovani lavoratori. Secondo diverse indagini (come quella condotta da Astra Ricerche) quasi il 48% dei lavoratori ha lamentato impatti negativi dello smart working sui rapporti con i colleghi, mentre il 70% ha percepito un peggioramento della propria situazione lavorativa. Questo disagio coinvolge soprattutto i più giovani, i quali percepiscono che il lavoro da remoto riduce le opportunità di coordinamento, confronto e crescita professionale, col rischio di risultare, alla lunga, un ostacolo alla crescita professionale.

I VANTAGGI DELLO SMART WORKING

Eppure, nonostante le criticità, lo smart working è sempre più diffuso e ricercato soprattutto nelle grandi imprese, ed ha avuto un impatto significativo sul modello lavorativo estero. Del resto, un numero considerevole di studi ha dimostrato che i vantaggi dello smart working possono essere concreti; nelle aziende che lo adottano, si è osservato un aumento della produttività e una significativa riduzione dello stress tra i dipendenti, senza considerare i benefici ambientali rilevanti attraverso la riduzione delle emissioni di CO2, grazie alla diminuzione degli spostamenti (si stima che lavorare da remoto per due giorni alla settimana possa ridurre le emissioni di anidride carbonica di circa 480 kg all’anno per persona). Inoltre, il 14% di coloro che svolgono il lavoro da remoto ha cambiato o sta considerando di cambiare residenza, spostandosi al di fuori dei centri urbani.

Insomma, al netto di tutto, ed in vista dei nuovi sviluppi, bisognerebbe certamente distinguere tra uno smart working inefficiente e uno smart working implementato come strumento per innovare e rendere più efficienti i processi organizzativi. Quest’ultimo tipo di lavoro agile, oltre a costituire un vantaggio dal punto di vista ambientale, non dovrebbe infatti comportare penalizzazioni di genere o età e potrebbe, come già avvenuto in altri paesi, portare a un aumento della produttività e del rinforzo delle competenze.


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