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Francesco Saverio Marini è professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata e Prorettore per gli affari giuridici. Giovanni Tarli Barbieri, professore ordinario di Diritto costituzionale e Prorettore all’Università di Firenze

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RIPRENDE quota nel dibattito politico l’ipotesi di una riforma costituzionale di tipo presidenzialista della Repubblica parlamentare. La Repubblica presidenziale (o presidenzialismo) è una forma di Governo che appartiene alle forme di democrazia rappresentativa, in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia il Capo dello Stato, sia il Capo del Governo. Questa riforma istituzionale è stata proposta nel programma elettorale dalla coalizione del Centrodestra, che ha vinto le elezioni e si appresta a formare il nuovo Governo.

Abbiamo intervistato il professore Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, favorevole al presidenzialismo e il professore Giovanni Tarli Barbieri, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, che è contrario.

All’Italia serve il presidenzialismo?

Marini. “A mio avviso sì e comunque serve una riforma costituzionale che possa garantire maggiore stabilità ai Governi. Il presidenzialismo è solo una delle ipotesi, esistono anche altre forme di governo o formule istituzionali che garantiscono quell’obiettivo”.

Tarli Barbieri. “No. Ritengo che un modello che è per natura divisivo come quello presidenziale non sia consono alla realtà italiana. Ma la mia risposta negativa non presuppone, però, né timori di rischio autoritario e nemmeno un rifugio verso uno sterile conservatorismo istituzionale. Sono favorevole al mantenimento della forma di governo parlamentare, ma con alcuni correttivi che ritengo indispensabili. Il presidenzialismo, invece, presuppone un sistema politico bipolare che oggi non c’è”.

I sostenitori del presidenzialismo pongono l’accento sulla stabilità. Ma stabilità non vuol dire efficienza.

Marini: “Stabilità non significa efficienza, ma certamente l’instabilità è un fattore patologico. E’ uno dei fattori che assicura il funzionamento di una forma di governo. L’instabilità, invece, mina il funzionamento della democrazia perché rende difficile individuare e scegliere per il cittadino il Presidente del consiglio, produce delle conseguenze negative dal punto di vista economico e indebolisce la posizione dei nostri rappresentanti negli organi sovranazionali o internazionali”.

Tarli Barbieri. “La stabilità non è sinonimo di efficienza, semmai è un presupposto. Ma poi siamo sicuri che una forma di governo presidenziale all’americana o alla francese garantisca la stabilità?”.

Stati Uniti, Argentina, Cile, Brasile, Messico, Uruguay, Costa Rica e Corea del Sud. Hanno sistemi presidenziali. L’esperienza ci dice che questo modello non è privo di difetti.

Marini: “È così. Ha avuto una resa diversa nei Paesi da lei elencati. Le norme costituzionali possono fare tanto, poi c’è anche la responsabilità degli attori istituzionali ma serve anche la cultura democratica del singolo paese. La nostra è una democrazia matura e può supportare un presidente che abbia una legittimazione politica forte. Non vedo pericoli di derive autoritarie. Nella forma di governo presidenziale, il Presidente è un attore politico ed è espressione della maggioranza che l’ha votato, non è più “neutrale” come adesso”

Tarli Barbieri: “Sono esperienze molto diverse tra loro. Un modello presidenziale all’americana non esiste in nessun Paese dell’Unione Europea. Il programma del Centrodestra allude soltanto all’elezione diretta del presidente, senza prendere partito su quale modello dovrebbe poi essere ricondotta a questa elezione. La proposta di legge presentata dall’onorevole Meloni e altri nella scorsa legislatura, per altro bocciata, si presta ad alcune obiezioni che mi sembrano molto evidenti. Intanto è un testo più sbilanciato rispetto alla stessa Costituzione francese: nella proposta si dice che è il presidente che dirige la politica generale del Governo. Mentre in Francia questa previsione è in capo al Governo non al Presidente della Repubblica. In questa proposta c’è l’elezione diretta del Capo dello Stato ma accanto ad essa esiste il meccanismo della sfiducia costruttiva per difendere il Primo ministro. La sfiducia costruttiva è tipica di un modello parlamentare e rafforza il ruolo del Primo ministro. Inoltre non esistono meccanismi di garanzia, di equilibrio tra poteri dello Stato. Il Consiglio superiore della magistratura, non sarebbe più presieduto dal Capo dello Stato, come ora, ma dal primo presidente della Corte di Cassazione, dunque da un magistrato. Una scelta che l’Assemblea costituente che redasse la nostra Costituzione non volle per evitare l’autoreferenzialità della magistratura. Non basta parlare in astratto di modelli, bisogna tradurli in proposte”.

Esiste anche il modello del semipresidenzialismo francese: il presidente della Repubblica viene eletto direttamente dagli elettori e detiene una parte del potere esecutivo, senza sottostare al voto di fiducia da parte dell’Assemblea, in condivisione con il Primo ministro che deve nominare e può revocare. È una via di mezzo che potrebbe mettere d’accordo i fautori del presidenzialismo con quelli del parlamentarismo?

Marini: “È un’ipotesi del tutto praticabile. In Francia, dov’è stato sperimentato da tempo, ha avuto una resa altalenante. Consideriamo che rispetto alle altre forme di governo, in Francia il semipresidenzialismo ha prodotto un numero di governi più elevato rispetto ad altre esperienze, come negli Stati Uniti, o a forme di governo parlamentari come la Germania o il Regno Unito”.

Tarli Barbieri: “I francesi hanno eletto Emmanuel Macron, ma nel Parlamento non c’è una maggioranza che sia consona al Presidente della Repubblica. E per la prima volta ci troviamo in Francia in una situazione che non è di omogeneità tra Presidente e maggioranza parlamentare, né di coabitazione tra Presidente e maggioranza politica opposta. Questa aspettativa di stabilità e governabilità collegata all’elezione del Presidente è un auspicio, niente di più”.

Ignazio La Russa, dopo l’elezione a presidente del Senato, ha detto che si può mettere mano alla riforma della seconda parte della Costituzione mediante una legge che promuova una costituente o con una bicamerale.

Marini. “Sono due opzioni entrambi percorribili. La prima ipotesi consente una sintesi politica più agevole, la seconda ha il vantaggio di essere una strada più celere”.

Tarli Barbieri: “Sono percorsi di riforma completamente diversi l’uno dall’altro. L’Assemblea costituente sarebbe un organo straordinario dai poteri illimitati. La prima parte della Costituzione dice La Russa è intangibile, la seconda parte no, ma ci sono ugualmente dei limiti: riguardano gli equilibri istituzionali all’interno della forma di governo, il ruolo di indipendenza della magistratura, le garanzie costituzionali. Una Bicamerale sarebbe tenuta a rispettarli, mentre l’Assemblea costituente potrebbe non farlo”.

I precedenti non sono illuminanti. La Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dal liberale Aldo Bozzi tra il 1983 e il 1985, non ebbe fortuna. Né l’ebbero gli altri analoghi organismi istituiti nel corso dei successivi dodici anni.

Marini. “Non c’è una formula che assicuri il risultato. Ci vuole una seria collaborazione tra forze di maggioranza e di opposizione. Ma l’esigenza del rafforzamento della stabilità è ampiamente avvertita dal Paese. La riforma a suo tempo proposta dal Governo guidato da Matteo Renzi andava in quella direzione. Le riforme costituzionali sono complesse non solo per il processo di revisione ma in generale per la delicatezza della materia, però ritengo che ci siano le condizioni politiche per arrivare ad una sintesi e a una riforma costituzionale di tipo presidenzialista”.

Tarli Barbieri: “Io non attiverei né un’assemblea costituente, né una bicamerale. Abbiamo le commissioni costituzionali di Camera e Senato, che sono sedi in cui tutti i gruppi parlamentari sono rappresentati che potrebbero fare quel lavoro istruttorio che loro compete ai sensi dell’ordinamento vigente. Penso che la cosa difficile sia trovare l’intesa perché una riforma della forma di governo necessità un accordo tra maggioranza e opposizione”.


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