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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio

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È L’ANNO della verità per Giorgia Meloni. Dentro o fuori. Superare lo stress test delle elezioni europee è un ostacolo di non poco conto. Il precedente del 2019, in un contesto politico differente, dovrebbe far riflettere l’inquilina di Palazzo Chigi. L’exploit di Salvini innescò la crisi del governo con i 5Stelle con tutte le conseguenze che conosciamo. Certo oggi il contesto politico e socio-economico è differente. E soprattutto gli equilibri coalizionali appaiono tutti a favore della leader di Fratelli d’Italia. Però in politica mai dire mai.

La prima annosa questione da risolvere rimanda alla candidatura della Meloni alle Europee di quest’anno: qual è la verità? Nel corso della conferenza stampa con i cronisti parlamentari Meloni non solo ha scolpito che ci starebbe seriamente pensando, ha prefigurato un test dentro e fuori la coalizione con tutti i leader candidati, convinta che l’occasione possa essere un modo per rilanciare ancora il suo primato. Raccontano che si sia messa a spulciare nel passato. Chi da premier ha gareggiato per le europee? Silvio Berlusconi di sicuro. E poi c’è stato Giulio Andreotti che lo ha fatto da ministro degli Esteri quando per la Democrazia cristiana si presentò come capolista del Nord Est. Ottenendo un risultato significato: oltre 500 mila preferenze.

Ci sono poi anche le controindicazioni, perché stravincere all’interno della coalizione potrebbe essere controproducente per la stabilità della maggioranza. Ma lo sarebbe altrettanto se non massimizzasse i consensi. Ragion per cui scherzano nella war room di Palazzo Chigi: «Preferibile stravincere che straperdere». Prima però ci sarà una lunghissima campagna elettorale. Sei mesi sono tanti, non finiscono mai. A maggior ragione, se si devono portare a casa le riforme – su tutte il premierato, l’autonomia differenziata e la giustizia – senza perdere di vista la ricetta economica, unico vero assillo degli italiani.

Gli alleati non staranno certo a guardare. Gli azzurri di Forza Italia, orfani di Silvio Berlusconi, proveranno a incassare qualcosa, partendo dalla riforma della giustizia. La fine dell’abuso di ufficio, votato qualche giorno fa in commissione Giustizia al Senato, è un assaggio. Non a caso il sottosegretario Francesco Paolo Sisto di Forza Italia ha rivendicato il passaggio parlamentare: «Le nostre riforme della giustizia cominciano a prendere forma, con il contributo decisivo di Forza Italia non solo in termini di numeri ma anche, e soprattutto, di contenuti. Portiamo avanti, con coerenza e determinazione, la difesa dei nostri principi, densi di garantismo e di rispetto della Costituzione. L’abrogazione sacrosanta e doverosa dell’abuso d’ufficio, insieme agli altri interventi previsti in questo pacchetto, è un primo, importante step che fa capire come questa sia davvero la legislatura giusta per quella svolta, da noi sempre agognata, che metta al centro del sistema giudiziario il cittadino».

Dall’altra Salvini è una scheggia impazzita. «È immarcabile» confidano i meloniani. La war room di Palazzo Chigi non si fida delle mosse del vicepremier. Lo monitora a distanza. Le discussioni sono all’ordine del giorno, vedi dibattito acceso sulle candidature delle elezioni regionali. Meloni richiede una rimodulazione dei profili dei futuri governatori sulla base dei nuovi equilibri di coalizione. Salvini resiste, chiede a sua volta la riconferma degli uscenti e minaccia di far saltare il tavolo. Una discussione che potrebbe sfociare in una spaccatura cui credono in pochi. In questo contesto Meloni dovrà presiederà il G7, portare avanti l’azione di governo sui migranti e mostrarsi in Europa come una leader ancorata ai valori fondanti della Ue. La grande prova di maturità sarà la formazione della commissione europea di quest’anno, come si comporteranno Meloni e la famiglia dei conservatori, la verità viene fornita dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovambattista Fazzolari, fedelissimo della premier: «Non faremo alleanze con movimenti impresentabili, mi riferisco a quelli che ancora oggi si rifiutano di condannare la denominazione sovietica dell’Europa e l’antisemitismo di matrice islamica, auspicando una Europa priva di identità con le proprie frontiere aperte all’immigrazione irregolare di massa».

Come dire, non faremo alleanze né con Marine Le Pen, né tantomeno con Afd. Il non detto rimanda forse a un’alleanza con popolari e socialisti per il sostegno del secondo mandato di Ursula von der Layen. Così da trasformare Fratelli d’Italia in una sorta di nuova Democrazia cristiana.


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