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Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche

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Le polemiche sulla serie tv Netflix su San Patrignano hanno di nuovo acceso i riflettori sulle comunità di recupero. Non si tratta di ruderi della storia, ma di realtà impegnate concretamente, oggi come ieri, a combattere dipendenze e dilagare della droga. «Pur mantenendo gli stessi riferimenti valoriali, rispetto a trent’anni fa si sono evolute», spiega Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict). «Ci sono professionisti e interventi terapeutici costruiti sulle evidenze scientifiche e c’è una forte collaborazione con i servizi pubblici».

Il vostro impegno è dunque ancora prezioso…

«Sì, ma restano dei problemi irrisolti».

A cosa si riferisce?

«Alla disperazione e alla solitudine delle famiglie. Oltre che alla assoluta indifferenza della politica».

Rispetto al passato non c’è maggiore attenzione?

«No. Forse oggi è anche peggio, perché questa indifferenza è consapevole. Ogni anno viene presentata al Parlamento la relazione sulle tossicodipendenze, con numeri che dovrebbero far rabbrividire, eppure quando andiamo in audizione dalle Commissioni parlamentari, i politici restano sconvolti».

A cosa attribuisce questa indifferenza?

«La droga è sempre stata un tema scomodo. Ma al contrario di oggi, ieri c’era il dibattito ideologico, ad esempio sul proibizionismo, il quale con tutti i suoi difetti rendeva almeno il tema di dominio pubblico».

Qualche numero sulla diffusione della droga oggi in Italia?

«Nel 2019 abbiamo avuto più di un morto al giorno per droga. 4milioni di italiani usano sostanze, 500mila avrebbero bisogno di un percorso di recupero, ma il sistema ne intercetta solo 140mila. A ciò si aggiungono le dipendenze comportamentali, cioè quelle senza sostanze, come il gioco d’azzardo. Non se ne parla, gli appelli cadono nel vuoto, poi esce una serie tv su fatti di 35 anni fa e si riaccende uno stantio e feroce dibattito».

Registrate un aumento del fenomeno droga dall’inizio della pandemia?

«Aspettiamo la relazione sul 2020, che dovrebbe uscire tra giugno e settembre. Dal nostro punto d’osservazione ad oggi registriamo due certezze: la sperimentazione dei nuovi mercati online e l’incremento di abusi di psicofarmaci e alcol. Sono due elementi legati al lockdown e alla pandemia, ma che pagheremo anche in futuro».

Un aspetto che rimanda le lancette dell’orologio indietro di trent’anni è forse l’eroina?

«Sì. Ma la modalità d’assunzione è cambiata: ci si buca di meno, anche se da qualche anno si registra anche un ritorno della siringa. Assumere l’eroina in altre forme affievolisce la percezione della tossicità. L’immagine del tossico radicata nell’immaginario è quella di colui che si buca. Ma si può essere tossici anche assumendo droga diversamente».

Cosa dovrebbe fare la politica?

«Per prima cosa aggiornare il testo unico sulle droghe, la legge Jervolino Vassalli, risalente al 1990. È un testo costruito sul vecchio eroinomane, oggi va quindi adattato all’evoluzione del fenomeno. Noi abbiamo fatto più proposte, chiedendo di convocare la conferenza nazionale sulle droghe, la cui ultima risale a 12 anni fa nonostante la legge dica che andrebbe fatta ogni 3 anni. Finora non abbiamo però scalfito l’indifferenza del Palazzo».

Quanto è importante sensibilizzare i giovani?

«È importante, anche perché si è abbassata l’età dei consumatori: da noi arrivano genitori di bambini di 12/13 anni. Ma l’informazione da sola non basta. Vanno rilanciati i percorsi educativi. Inutile rincorrere le sostanze, ne escono ormai oltre 100 nuove ogni anno, bisogna allora lavorare sul disagio e sulla devianza, che sono le cause del consumo».


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