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L'epidemiologa Sara Gandini

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VENERDI scorso Mario Draghi ha parlato di «evidenze scientifiche» alla base della decisione del governo di dare priorità all’apertura delle scuole. Tempismo perfetto, perché proprio mentre a Roma si teneva la conferenza stampa del presidente del Consiglio, sulla prestigiosa rivista The Lancet veniva pubblicato uno studio che dimostra che l’apertura delle scuole non pesa significativamente sulla curva dei contagi. Tra gli autori, l’epidemiologa Sara Gandini, che il Quotidiano del Sud ha intervistato.

Insomma, la scelta di aprire le scuole è oculata…

«Nessun luogo può essere del tutto sicuro in una pandemia, ma la scuola è uno dei più sicuri. Per questo ritengo che tutte le scuole dovrebbero essere riaperte perché possono addirittura svolgere un ruolo di contenimento della diffusione del virus».

Vorrebbe dire che le scuole aperte arginano persino i contagi?

«Con i protocolli vigenti i ragazzi sono in un luogo sicuro, mentre se non vanno a scuola escono comunque di casa e si ritrovano in situazioni meno controllate. Anche perché, diciamocelo, non è umanamente pensabile che dopo un anno si chieda loro ancora di rimanere sempre e solo davanti a uno schermo. Per altro tenere aperte le scuole permette di fare tracciamento, quindi al limite bisognerebbe investire su questo».

Cosa evidenzia il vostro studio?

«Che l’incidenza del contagio nella scuola primaria e secondaria di primo grado è inferiore del 39% rispetto alla popolazione generale; e che alle superiori è inferiore del 9%. Lo studio, condotto da settembre a dicembre 2020 analizzando i dati di diversi database (Protezione Civile, ATS, Miur), copre, in un periodo in cui tutte le scuole erano aperte, il 97% della popolazione scolastica. La conclusione è che non c’è alcuna evidenza che il contagio nella popolazione salga di pari passo con il rientro a scuola, anzi».

C’è chi sostiene che, ad ogni modo, il principio di precauzione durante una pandemia suggerisca di tener chiuse le scuole…

«Il rapporto rischio/beneficio suggerisce di aprire. Con i colleghi di “Pillole di Ottimismo” (gruppo di scienziati, ndr) abbiamo sottolineato che “in assenza di prove evidenti dei vantaggi della chiusura delle scuole, il principio di precauzione impone di mantenere le scuole aperte per prevenire danni irreversibili ai bambini e adolescenti, alle donne e alla società intera”».

A quali danni fa riferimento?

«Oltre a quelli psicologici, dimostrati da molti studi, dobbiamo ricordare che la dad accresce la dispersione scolastica e alimenta le diseguaglianze sociali con un maggiore discrimine tra studenti che hanno facile accesso alla didattica digitale e studenti che non lo hanno. Mette anche in estrema difficoltà le donne sulle quali ancora oggi ricade buona parte della cura dei figli. E se non sono le madri a dover curare i figli, finisce che se ne devono preoccupare i nonni che dovrebbero essere le persone più da tutelare».

La Campania è la Regione che per più tempo ha tenuto le scuole chiuse. Con quali risultati?

«Il nostro studio evidenzia che in Campania, nonostante la chiusura delle scuole, la curva dei contagi ha continuato a salire e la diffusione non si è minimamente ridotta».

Crede sia giunto il momento di aprire le scuole in modo continuativo e definitivo?

«Adesso ci sono tutti gli elementi scientifici per auspicare e progettare un rientro nelle scuole di ogni ordine e grado. Spero che i politici ne terranno conto. Così come spero terranno conto della sentenza del Tar della scorsa settimana».

Fa riferimento alla sentenza che sospende l’efficacia del Dpcm che dispone la dad nelle zone rosse. Cosa rilevano i giudici?

«Cito testualmente: “Le analisi qui condotte non dimostrano una situazione di aumentata pericolosità a livello di aumento di contagi, diffusione di focolai scolastici, trasmissione secondaria in ambito scolastico, aumentato rischio per individui in età scolare di trasmettere la cd variante inglese rispetto alla popolazione. Rappresentano invece un’invidiabile situazione a livello europeo di capacità di tracciamento dei casi e pertanto nella classificazione dello scenario italiano secondo Oms”».


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