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Secondo l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità, il quadro generale della trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2 è tornato nuovamente a peggiorare nel nostro Paese, sebbene l’impatto sui servizi ospedalieri sia rimasto minimo.

La circolazione della variante delta è in aumento in Italia, ed è atteso che diventi presto prevalente, anche se dai dati emerge una maggiore incidenza in soggetti più frequentemente asintomatici.

Il progressivo allentamento delle misure di contenimento, in concomitanza con l’arrivo della stagione estiva, ha probabilmente determinato nei più l’illusione di un rischio ormai sotto controllo, e non è da escludere che, dopo un periodo di spensieratezza, questa leggerezza non porti ad un autunno di ben più stringenti restrizioni.

Del resto, una situazione simile si era già verificata durante il 2020 quando, dopo un’estate trascorsa con atteggiamento ottimistico, la seconda ondata di contagi aveva travolto nuovamente il nostro sistema sociosanitario.

Sembra ciclicamente ripetersi lo stesso schema per il quale, dopo mesi di accortezze, il miglioramento dei dati sembra sufficiente a riaprire il dibattito circa una possibile ripresa totale del Paese, a discapito tuttavia di una corretta prevenzione nel momento in cui la situazione inizia a stabilizzarsi. Senza una presa di posizione da parte del Governo centrale, i mancati interventi per prevenire e contenere una nuova ondata potrebbero portare nuovamente a nuovi confinamenti e restrizioni.

Va comunque sottolineato come la campagna vaccinale segni una importante differenza tra la situazione attuale e quella dello scorso 2020. Sempre dai bollettini epidemiologici settimanali dell’ISS emergono infatti dati incoraggianti, che confermano anche in Italia l’efficacia dei vaccini contro il coronavirus, con una percentuale dei contagi tra le persone vaccinate (soprattutto tra chi ha già completato il ciclo vaccinale)  largamente inferiore rispetto alla percentuale di nuovi casi tra i non vaccinati.

Allo stesso tempo però la campagna vaccinale, nelle ultime settimane, ha rallentato; questo calo riguarda soprattutto i non vaccinati con più di 60 anni (più a rischio di contrarre forme gravi dell’infezione da COVID-19) e la fascia d’età tra i 20 e i 40 anni. Un dato tutt’altro che irrilevante, se si considera che l’efficacia della campagna vaccinale è legata anche direttamente al numero di chi vi aderisce.

Ai dubbi di molti nello scegliere di sottoporsi alla somministrazione, si aggiunge che una delle cause del calo delle prime dosi è molto probabilmente legata ai tempi richiesti tra le due somministrazioni, la cui attesa media tra i 21 e i 42 giorni ha forse scoraggiato chi rischia di avere problemi nell’organizzazione delle vacanze. Potrebbe darsi che l’anelito del ritorno alla normalità abbia portato gran parte dei cittadini italiani ad adottare comportamenti meno rigorosi, avvalorati dalla convinzione di essere ormai fuori, o quasi, dallo stato di emergenza – nonostante questo sia ancora in corso.

L’irresponsabilità di alcuni,  più o meno legittimata dalle norme più moderate attualmente in atto, appare non soltanto preoccupante in vista della eventuale necessità di rafforzare nuovamente le misure di sicurezza, ma finisce pure per sminuire quanto accaduto nei mesi passati. Che ci si abitui ad una catastrofe, quando l’emergenza si reitera, è un processo pressoché automatico, che tuttavia non dovrebbe scoraggiare un ripensamento della realtà quotidiana.

Si è forse insistito eccessivamente su un ritorno ad una situazione pre-pandemica, a scapito della consapevolezza che non si tratta di un periodo risolvibile in tempi ristretti, così come della presa di coscienza che sono state proprio le difficoltà strutturali precedenti, in seno alle quali si è sviluppata l’emergenza, a non darci gli strumenti per affrontarla al meglio.

Il diffondersi di un atteggiamento di insofferenza rispetto all’attuale situazione sociale alimenta il timore che, al termine della bella stagione,  un’eventuale nuova ondata possa risultare particolarmente brutale anche a causa di una ostentata noncuranza. Nonostante i buoni propositi, l’impronta organizzativa del nostro sistema sociosanitario, così come l’organizzazione dell’industria culturale, dei luoghi del sapere e la gestione degli spazi condivisi, sembra essere rimasta immutata dall’inizio della pandemia, ed è come se dalla lezione della scorsa estate non avessimo imparato nulla.

Siamo già fuori tempo massimo per scegliere di affrontare l’emergenza in modo ottimale, ma non è ancora tardi per rendersi conto che serve una trasformazione del nostro quotidiano, e non il ripristino di una tranquillità di facciata.


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