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Un Sud sempre più dipendente dalla sanità del Nord: è la fotografia della migrazione sanitaria interregionale in Italia raccontata nel report della Fondazione GIMBE dal titolo “La mobilità sanitaria interregionale nel 2021”, presentato in aula al Senato in occasione dell’avvio della discussione del DdL Calderoli. Un fiume di 4,25 miliardi che dalle regioni del Sud Italia risale verso il Nord. Il decreto, anche rinominato “spacca-Italia”, rappresenterebbe un ampliamento delle differenze territoriali che rimarcherebbero il gap tra il Nord ed il Sud.

Il progetto di riforma è stato presentato nei giorni scorsi in Senato e spinge verso il percorso di decentramento di diverse competenze e materie per le quali le singole regioni possono richiedere maggiori autonomie. Tra queste la tutela della salute, punto dolente della riforma. «Un gap – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – diventato ormai una “frattura strutturale” destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando oltre alla migrazione sanitaria anche le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute». L’affermazione del presidente della fondazione è avvalorata dai grafici presenti nel report GIMBE. In particolare, sono indicate le tre regioni a mobilità attiva: Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%). Queste sono quelle che raccolgono quasi la metà dei pazienti provenienti dalle altre zone italiane.

«Tali dati – commenta il Presidente – documentano una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord e, con la sola eccezione del Lazio, quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud». Valori positivi che riflettono anche la frattura economica che si instaura tra i due poli della penisola: al Nord le regioni hanno un saldo superiore a 200 milioni, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni sono tutte del Centro-Sud. Nel dettaglio, la regione Emilia-Romagna porta un segno nettamente positivo di 442 milioni, la Lombardia di 271,1 milioni ed il Veneto di 228,1 milioni. Seguono con un saldo positivo minimo le regioni del Piemonte (12,2 milioni), Toscana (9,2 milioni), Provincia autonoma di Trento (1,4 milioni), Provincia autonoma di Bolzano (0,4 milioni). Scendendo verso il Centro ed il Sud, Umbria (- 31,2 milioni), Marche (- 38,5 milioni), Basilicata (-83,5 milioni) mostrano un valore economico sanitario moderatamente negativo. Il saldo in rosso è assegnato alle regioni Abruzzo (- 108,1 milioni), Puglia (- 131,4 milioni), Lazio (- 139,7 milioni), Sicilia (- 177,4 milioni), Campania (- 220,9 milioni) e la Calabria (- 252,4) che riporta il valore più basso.

La Fondazione GIMBE traccia, inoltre, le tipologie di prestazioni erogate nel momento in cui un paziente decide di curarsi al di fuori della propria regione. Complessivamente, la migrazione sanitaria si deve a ricoveri ordinari e in day hospital per il 69,6% e per il restante 16,4% a prestazioni di specialistica ambulatoriale. Determinante la mobilità verso le strutture private. Oltre 1 euro su 2 speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: esattamente 1.727,5 milioni (54,6%), rispetto a 1.433,4 milioni (45,4%) delle strutture pubbliche. Fondazioni GIMBE riporta che i privati hanno incassato 1.426,2 milioni in ricoveri ordinari e in day hospital, contrariamente alle pubbliche che hanno visto entrare nelle proprie tasche circa 1.132,8 milioni. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, poi, il valore erogato del privato è di 301,3 milioni, quello del pubblico di 300,6 milioni. Ed inoltre, sottolinea il presidente Cartabellotta, il volume di mobilità tra pubblico e privato in quelle regioni in cui le strutture sanitarie private erogano oltre il 60% del valore totale della mobilità, è diversificato tra le regioni italiane. In Molise, Puglia, Lombardia e Lazio si eroga tra il 90,5% e il 64,1% mentre in Valle D’Aosta, Umbria, Provincia autonoma di Bolzano e Basilicata le cifre oscillano tra il 19,1% e l’8,6%.

«Tale dato – afferma Cartabellotta – è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche». Pertanto, queste analisi dimostrano che i flussi dei pazienti per le prestazioni sanitarie, si muovono dal Sud Italia verso il Nord cioè, verso quelle regioni che hanno sottoscritto accordi preliminari con il Governo per maggiori autonomie. Ed ancora, osservando le prestazioni erogate dai privati e le ricezioni in termini di pazienti si nota come oltre la metà del valore economico-sanitario stia volgendo verso il privato accreditato, a grave danno della sanità pubblica. Se il ddl Calderoli venisse riconosciuto – fa notare ancora la Fondazione – le Regioni del Sud, essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o addirittura commissariate come Calabria e Molise, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità.


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