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Una raffineria di petrolio

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Il 12 novembre 2021 si è conclusa la 26esima Conferenza sul clima (Cop26), che ha riunito a Glasgow i leader della Terra per porre un freno al riscaldamento globale. Poco più di cinque mesi che sembrano anni perché la guerra in Ucraina – e l’aggravarsi della crisi energetica – rischiano di rallentare il raggiungimento degli obiettivi fissati: l’azzeramento delle emissioni nette di Co2 entro il 2050 (con lo step intermedio del dimezzamento nel 2030), il progressivo abbandono delle fonti fossili (carbone, gas e petrolio) e il contemporaneo sviluppo delle rinnovabili per portare a +1,5 gradi massimo l’innalzamento delle temperature su scala mondiale ed evitare la catastrofe.

Le premesse, per la verità, erano tutt’altro che positive già prima che Vladimir Putin ordinasse l’invasione dell’Ucraina; basta leggere il giudizio negativo espresso dagli esperti di BloombergNef (Bnef), una data company che si occupa di investimenti energetici e di ricerche sul mercato dei permessi di emissione di anidride carbonica, secondo cui «mentre i governi del G20 hanno fatto delle promesse senza precedenti nel 2021, nessuno di loro ha implementato misure sufficienti per raggiungere in modo plausibile una profonda decarbonizzazione».

Bnef ricorda che proprio i Paesi del G20 ogni anno spendono circa 600 miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili e il 40% finisce nelle tasche dei produttori. Sinora gli interventi adottati per tagliare queste sovvenzioni sono stati «poco incisivi» e il conflitto nell’est Europa rende ancor più ardua l’operazione. La guerra ha accentuato il gap energetico e vale soprattutto per l’Unione europea i cui approvvigionamenti di gas naturale tuttora derivano per il 40% dalla Russia, con picchi del 60% in singoli Paesi, come la Germania. Il tutto a prezzi abbordabili.

È chiaro che, prima di poter riprendere in mano l’agenda in materia di rinnovabili, ogni nazione debba provvedere ad assicurare adeguati rifornimenti a imprese e popolazione, cercando altri partner ma dovendo focalizzarsi sull’unica fonte attualmente messa a sistema: quella fossile.

Sul punto è stato durissimo l’intervento del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, secondo cui l’obiettivo degli 1,5 gradi rischia di essere compromesso da quelle nazioni che – invece di accelerare sulle energie verdi – si preoccupano di sostituire il gas e il petrolio russi con materie prime equivalenti acquistate da altri Stati. «Le ricadute della guerra russa in Ucraina rischiano di capovolgere i mercati alimentari ed energetici globali, con importanti implicazioni per l’agenda climatica globale» ha detto Guterres durante un forum sulla sostenibilità organizzato dal The Economist.

«Le principali economie – ha argomentato – stanno seguendo una strategia che punta a sostituire i combustibili fossili russi. Queste misure a breve termine potrebbero creare una dipendenza dal fossile nel lungo periodo, facendo saltare il target degli 1,5 gradi». L’impellente bisogno di «combustibili fossili, insomma, potrebbe mettere in ginocchio le politiche che puntano all’abbandono di tale fonte. Si tratta di una scelta folle, perché la dipendenza dal fossile ci assicura l’autodistruzione». A ciò si aggiunge il campanello d’allarme suonato dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) che, citando i dati del 2021, ha parlato di un 6% in più di Co2 nell’atmosfera rispetto al 2020, dovuta alla ripresa dell’economia con la lenta uscita dalla pandemia.

A ciò ci ha condotto una strategia miope adottata negli ultimi decenni a livello mondiale. Il fatto è che l’implementazione delle rinnovabili nel breve periodo è pressoché impossibile. Basti pensare che in Italia – stando ai dati di Terni – l’energia pulita più utilizzata (l’idroelettrico) produce appena il 12% del fabbisogno. Seguono fotovoltaico (o solare, tra il 7 e l’8%), eolico (6,1%), geotermico (2%) e marino. E parliamo di un Paese collocato ai primi posti nel sistema delle rinnovabili. E che può contare su ampie porzioni di territorio – pensiamo al Sud – dotate di caratteristiche ideali per produrre energia pulita.

Sul fronte del nucleare i risultati ottenuti nel Regno Unito sulla fusione – che non produce scorie a differenza della fissione – fanno ben sperare per il futuro. Ma è decisamente troppo presto anche solo per valutare una strategia basata su questa particolare fonte.


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