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Lavori pubblici in Calabria

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Se un’immagine – si dice – vale più di mille parole, lo stesso può talvolta dirsi di una tabella. La tabella in questione descrive, per l’anno di grazia 2018 (l’ultimo che ci fornisce la ‘tirannia dei dati’), quanto in ogni Regione si è speso per gli investimenti pubblici: un ‘quanto’ che è espresso in euro costanti per abitante. Dato che si tratta di una fotografia e non di una cinematografia, il fatto che gli euro siano costanti (cioè ai prezzi di un anno-base) e non correnti, è irrilevante – l’importante è che l’unità di misura sia eguale per tutti. E questa unità di misura – gli euro per abitante – è tratta dai conti del Settore pubblico allargato, meritoriamente elaborati da un ente pubblico, l’Agenzia per la coesione territoriale.

Una variabile – quella degli investimenti pubblici – che è oggi al centro dell’attenzione, dato che il fiume di miliardi in arrivo dall’Unione europea offre un’occasione unica e irripetibile per rivestire l’Italia: il tessuto sfilacciato della penisola può essere rammendato da una dotazione infrastrutturale capace, per i suoi effetti diretti e indiretti, di riportare l’Italia su un sentiero di crescita che ha abbandonato da vent’anni. Non c’è nessun Paese dell’Unione europea dove il dualismo territoriale sia così accentuato come in Italia, dove una metà – il Mezzogiorno – ha un reddito procapite che è circa la metà dell’altra metà – il Centro-Nord.

Sugli investimenti pubblici abbiamo già fornito ai lettori – vedi il Quotidiano del Sud del 2 settembre – un’immagine che riproduciamo qui accanto: il grafico mostra come sia andata scemando nel tempo la quota degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno sul totale Italia, dall’anno 2000 al 2018. Veniva confermata la minorità del Sud nelle scelte di politica economica, per quel che riguarda la variabile cruciale degli investimenti. Dalla cinematografia (2000-2018) passiamo ora, come detto, alla fotografia dell’anno più recente, e aguzziamo lo sguardo sugli investimenti divisi per funzione: Istruzione e cultura – Sanità – Attività produttive e Opere publiche – Reti infrastrutturali – Ciclo integrato dell’acqua – Ambiente e territorio – Mobilità.

La tabella mostra, per ogni Regione, e per ogni funzione di spesa, quanto è stato erogato in investimenti – in euro per abitante – e vengono dati anche i valori per la media del Centro-Nord e per la media del Mezzogiorno. Una ulteriore elaborazione fornisce le medie per le due aree del Paese astraendo dalle Regioni e Province autonome. Perché? Perché le Regioni a statuto speciale sono sempre state trattate con un occhio di riguardo. Ricordo – mi è stato riferito da un testimone oculare – che un giorno lontano Craxi – allora presidente del Consiglio – si incontrò con Silvius Magnago – allora Governatore della provincia autonoma di Bolzano – e, nel corso delle trattative sui limiti dell’autonomia, Craxi a un certo punto sbottò: allora andate a stare con l’Austria! Magnago impallidì… La morale è che stare con l’Italia era molto utile per Bolzano, tali e tanti erano i vantaggi offerti dallo statuto speciale, molto maggiori di quelli che potevano venire da essere ‘a statuto ordinario’ in Austria.
Certamente, lo ‘statuto speciale’ delle Regioni italiane – ci sono anche al Sud, come si sa: Sicilia e Sardegna – dà più libertà di manovra, nel bene e nel male. Allora, togliere le Regioni autonome dalle due aree migliora o peggiora la media?

Lo vedremo, dopo aver commentato più in profondità la tabella. A livello delle sette funzioni di spesa prese nel loro complesso, il risultato è impietoso: nel 2018 gli investimenti pubblici, nelle aree del Paese che ne avrebbero bisogno più delle altre, erano di quasi un terzo inferiore rispetto alle aree ‘ricche’. E questo è specialmente vero nelle funzioni di spesa più importanti: Istruzione e Sanità, dove le spese in conto capitale – scuole e ospedali – sono dal 40 al 50% inferiori nel Mezzogiorno. Idem per il problema delle acque. Quando si dice che nel Sud d’Italia le perdite degli acquedotti sono di molto superiori rispetto al resto del Paese, se ne dà di solito la colpa all’incuria e alla mala amministrazione. Forse è il caso di mettere sul banco degli imputati anche le scarse risorse… Tanto più che il Mezzogiorno ha più bisogno di acqua rispetto al resto del Paese.

Idem – un’allocazione che è la metà rispetto al Centro-Nord – la constatiamo per gli investimenti che riguardano l’ambiente e il territorio: un’area, questa, dove il Mezzogiorno avrebbe bisogno (come nel caso dell’acqua) di più spese – e non meno spese – della media.

Là dove il divario – dappertutto a svantaggio del Sud – è meno forte, è nel campo delle Attività produttive e opere pubbliche (che comprendono gli interventi per pubbliche calamità, purtroppo più frequenti nel Mezzogiorno), nelle reti infrastrutturali (Tlc e dintorni) e nella mobilità, dove il Centro-Nord nel passato ha fatto il pieno con quell’Alta velocità che rimane un miraggio per il Sud.

Tornando alla questione delle Regioni autonome, le cifre mostrano che per il Centro Nord in tutte le funzioni di spesa quelle aree hanno ricevuto più soldi rispetto alla media del Centro-Nord stesso. Il vantaggio dell’autonomia, insomma, sembra essere quello di succhiare più soldi dalle pubbliche amministrazioni. Per il Mezzogiorno, il confronto, quale si evince dalla tabella, è più variegato: ci sono casi in cui la media senza autonomie è più alta e casi in cui è più bassa. Insomma, quello che conta è allora la buona amministrazione, più che lo statuto speciale…


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