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C’è un progetto complessivo per il Mezzogiorno nel rapporto 2020 di Svimez. Man mano da analisi della situazione del Sud esso è diventato un programma, pieno di informazioni, per affrontare e risolvere la questione meridionale dopo il Covid. “Oltre a fornire il tradizionale quadro di aggiornamento annuale di contabilità territoriale, il Rapporto propone una valutazione d’impatto delle conseguenze economiche e sociali della pandemia nei diversi territori tenendo conto degli effetti delle misure di sostegno a imprese e lavoratori messe in atto a livello nazionale.

Vengono inoltre aggiornate le stime territoriali per il 2020, tenendo conto del contributo delle diverse misure emergenziali messe in campo dal Governo, e per il 2021 e il 2022 includendo anche gli effetti di sostegno alla ripresa delle misure inserite nella recente Legge di Bilancio per il 2021” cosi nella presentazione del rapporto.
Una messe di dati di analisi e last but non least le indicazioni di massima: che le esigenze di occupazione, sono nell’ordine dei 3 milioni. Un numero elevatissimo che fa capire come a fronte di esigenze cosi ampie per andare ad un rapporto occupati popolazione , simile all’Emilia Romagna, è necessario un impegno straordinario e risorse veramente consistenti. E che le imprese locali purtroppo, al netto delle eccellenze che ci sono, non possono essere quelle che soddisferanno le grandi esigenze per rendere il Sud un’area a sviluppo compito.

Che bisogna interrompere lo spopolamento del territorio, frenando il flusso di emigrazione, 100 mila ragazzi formati, l’anno, verso altre parti d’Italia e del mondo. Che le risposte potranno venire dall’attrazione d’investimenti dall’esterno dell’area ed infatti vi è un capitolo dedicato proprio ad esse “Quadrilatero ZES nel Mezzogiorno continentale, un progetto di sistema per lo sviluppo dell’Italia nel contesto Mediterraneo”, in cui viene messa in evidenza l’esigenza di industrializzazione a fianco alla proiezione mediterranea”. Anche se le Zes hanno difficoltà a partire e le aree doganali intercluse non ci sono ancora.

In realtà vi è anche un riferimento all’agroalimentare quando parla della competitività delle imprese alimentari nel Mezzogiorno.

L’altro elemento che viene pesantemente fuori è che il Paese senza Mezzogiorno non può farcela. I confronti delle crescite europee pre-covid, con quelle della parte Nord, dimostrano che essere subfornitori di Francia e Germania non paga, come lasciare un terzo del territorio e della popolazione in uno stato di colonia.
“Per rimanere agli anni più recenti della ripresa 2015-2018, l’Italia ha registrato una crescita cumulata del PIL dimezzata rispetto alla media dell’UE a 28 (+4,6 contro +9,3%), dimostrando una capacità di recupero di gran lunga insufficiente a recuperare le perdite di prodotto del periodo 2008-2014 (–8,5% contro il +1,6% della media europea).”

I dati sono ineccepibili e dovrebbero convincere le Regioni forti del Paese, che non è liberandosi dello stivale, e facendolo affondare, che il Paese si salva, perché quella che potrebbe essere la piattaforma logistica del Mediterraneo rischia di trascinarsi anche il resto del Bel Paese.

«Il Paese si trova di fronte all’occasione irripetibile di avviare la sua “ricostruzione” coniugando crescita nazionale e coesione territoriale, con la possibilità di gestire la transizione al “dopo” orientando i processi economici verso una maggiore sostenibilità intergenerazionale, ambientale e sociale.»

Svimez parla proprio di ricostruzione del Paese, non solo di recupero del Sud. Perché deve essere chiaro a tutti che o si cresce insieme, recuperando un terzo del territorio o si affonda ed per questo la messa in collegamento delle città medie può essere un importante must.

Un tema importante che viene rilanciato è quello relativo ai diritti di cittadinanza “Evidenziare che i livelli di spesa pubblica pro capite sono mediamente più bassi nelle regioni del Mezzogiorno e mostrarne il trend calante negli ultimi anni significa fornire una fotografia dell’esistente, senza con ciò voler fare il controcanto al rivendicazionismo di segno opposto che misurava fino a ieri il maltolto con il «residuo fiscale» del Nord.”

Si mette il dito nella piaga. Si evidenzia in modo incontrovertibile che qualunque sia la fonte di informazione, i Conti pubblici territoriali o la Banca d’Italia, la differenza tra spesa pro-capite tra le Regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro Nord, malgrado le esigenze siano molto più evidenti per le prime, rimangono elevate e che il residuo fiscale è un controsenso in uno Stato unitario.

Grazie alla conferenza Stato Regioni, per la protervia gestione dell’accordo tra la sinistra tosco- emiliana e la destra lombardo veneta, con articolati sistemi che hanno dimostrato che alcuni comuni del Sud non avevano bisogno per esempio di asili, bontà loro. Conferenza che ha consentito grazie all’assenza o alla distrazione dei capetti meridionali, una iniqua distribuzione che ad oggi, in particolare modo nella sanità e nella scuola e nelle infrastrutture, dimostra la sua drammaticità.
Il punto della situazione sulla criminalità organizzata e sulla infrastrutturazione mette in evidenza come per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, la realtà Sud deve essere in condizione di competere con le altre aree, perlomeno europee, come Polonia, Ungheria, Slovacchia, in termini di raggiungibilità dei territori, per terra , area e mare e per messa all’angolo della criminalità organizzata, come per la semplificazione amministrativa, altro driver importante per completare il ciclo, progetto, risorse ed infine capacità di spesa.

Il Rapporto si sofferma sulle condizionalità dell’Europa che mostra di aver capito meglio di quanto abbia fatto il Paese come sia centrale la diminuzione dei divari, motivo per il quale il Paese ha avuto tante risorse, che purtroppo il Nord, ma anche il Governo non si è ancora rassegnato a destinare al Sud. Un lavoro, il Rapporto, complesso che va esaminato approfonditamente nelle singole parti e che può servire come progetto complessivo per il Paese.


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