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Il presidente Giuseppe Conte

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Siamo ancora ai dribbling e alle finte: la politica non trova il colpo d’ala e ciascuno si arrocca sulle sue posizioni in attesa di vedere se davvero riuscirà a superare il catenaccio degli avversari riuscendo almeno a provare a tirare in porta. La confusione è massima perché non ci sono due squadre contrapposte, ma un gioco combinato, confuso e in contemporanea fra una decina di squadre che vedono alleanze momentanee e tentativi di sfondamento in varie direzioni.

La squadra più inquieta è quella dei Cinque Stelle che ancora non hanno tirato le fila dei loro peraltro confusissimi Stati Generali. A dominare da quelle parti non è solo una piccola guerriglia che vede le sortite di vari personaggi minori in cerca d’autore, ma l’incertezza delle figure più rilevanti circa la strategia futura da perseguire. Di Maio cerca disperatamente di accreditarsi su due tavoli opposti, quello dei suoi parlamentari esibendo il lato del difensore delle vecchie ortodossie e quello dei ceti dirigenti del paese mostrandosi come un politico che maturato il realismo necessario per occupare legittimamente posizioni chiave E’ un gioco di va e vieni che per ora non ha conseguito risultati apprezzabili su nessuno dei due tavoli.

Anzi alla fine tutto congiura per puntare ancora sulla carta Conte, a cui si aggrappano in molti a cominciare da Grillo, che butta il pallone in tribuna a pro delle intemperanze di un po’ di vecchia guardia, ma contemporaneamente fa capire che scommette sulla tenuta del premier.

Renzi si muove con la consueta spregiudicatezza che gli è consentita dalla marginalità della sua posizione, che da un lato gli permette di sparare in tutte le direzioni e dall’altro di suggerire che in fondo è lui ad avere la “golden share” che può tenere in piedi l’alleanza che a suo tempo ebbe l’intuizione di inventarsi. In fondo è quello che può consentirsi più di tutti di fare melina, perché il tempo non lo logora più di tanto, anche se non lo fa progredire nell’ampliamento della sua presa elettorale. Per questo è lì che aspetta sulla riva del metaforico fiume, abbastanza fiducioso che prima o poi qualche cadavere gli passerà davanti.

Il PD si trova nella più sgradevole delle posizioni. Non è affatto convinto che quel che sta combinando il governo sia davvero all’altezza della situazione, perché non tutto può essere ridotto alla pur importante questione del contenimento della pandemia. Però non ha lo strumento principe per costringere l’esecutivo a muoversi in maniera più adeguata alle sue aspettative: una crisi di governo non soltanto è per lui impossibile, ma non può nemmeno permettersi di minacciarla.

In questa condizione Conte si trova bene, perché oggettivamente continua ad avere il controllo della situazione. La sua debolezza è nel non saper usare il suo vantaggio per promuovere una politica di ampio respiro e di visione. Il ricorso alla retorica, alle soluzioni verbali, al posare all’uomo che si sente tranquillo per le sue capacità superiori, non gli giova più di tanto, perché è troppo scoperta la tattica che mescola alleanze con centri di potere di varia natura (soprattutto burocratica) e inseguimento del consenso spicciolo con concessioni ad una moltitudine di lobby e gruppi di pressione. Le soluzioni tappabuco non costruiscono futuro, né in politica, né nella vita. La situazione attuale che non consente alternative alla sua posizione è sempre sottoposta al rischio del colpo di coda imprevisto. E’ vero che c’è una specie di convenzione sul principio della “sfiducia costruttiva” per cui un governo non si fa cadere se non è pronto un altro, ma è altrettanto vero che il principio non è codificato in nessun modo, per cui un colpo di mano o di testa può far saltare il governo senza che ci sia la successione possibile. In quel caso si sarà costretti ad arrendersi all’evidenza di un vuoto politico su cui però graveranno tutti i pasticci combinati nella fase precedente.

L’opposizione si lamenta di questo stallo che le impedisce di giocare le sue carte, ma si guarda bene dal riconoscere che è stata lei a costruirlo col suo avventurismo e con la sua incapacità, speculare a quella di una parte della maggioranza, di liberarsi dai suoi mantra obsoleti (da quelli sull’immigrazione a quelli sul MES). E’ la sua incapacità di aprire il gioco della sfiducia costruttiva che lascia spazio solo alla sfiducia distruttiva ed esplosiva, per cui tutti quelli che hanno un po’ di sale in zucca cercano di allontanare quella evenienza.

Quanto si possa andare avanti in queste condizioni è difficile dirlo. Il problema principale non sarà scavallare la scadenza del voto del 9 dicembre, dove è molto probabile che qualche escamotage sarà trovato per tenere insieme la maggioranza, magari con qualche aiutino non compromettente: per ora una crisi al buio fa paura a tutti. Il problema sarà come arriviamo al momento topico del varo da parte dell’Europa dei fondi del Next Generation UE destinati all’Italia. Con una situazione confusa e con un governo che non dà garanzie di visione nell’utilizzarli non è detto che quei fondi ci arrivino con la generosità e le poche condizionalità indispensabili che ci servirebbero. E se su quel fronte ci fosse una anche parziale sconfitta sarebbe arduo evitare una crisi politica più profonda del semplice tramonto del governo Conte 2.


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