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Un brindisi con il prosecco

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La Ue spalanca le porte all’agroalimentare taroccato. Doveva essere un caso di scuola per evitare il ripetersi di truffe nell’Unione. E invece la vicenda del Parmesan, “risolta” nel lontano 2008, sembra non aver insegnato nulla. E oggi l’Italia si trova nuovamente a fronteggiare una denominazione, questa volta croata, che mette a rischio il Prosecco made in Italy, re delle bollicine.

È stata infatti annunciata da Bruxelles la prossima pubblicazione in Gazzetta ufficiale europea della richiesta, da parte della Croazia, del riconoscimento della menzione tradizionale “Prosek”,un vino che non ha nulla a che fare con il Prosecco tricolore ma che lo evoca molto e potrebbe sicuramente indurre in errore i consumatori europei e non solo.

UNA STORIA CHE SI RIPETE

È la stessa vicenda vissuta dal blasonato Parmigiano reggiano nei primi anni Duemila, quando il Parmesan spopolava in Germania. Ma allora la Commissione Ue fu ferma nel decretare che il Parmesan non era affatto un nome generico, come sostenevano i tedeschi, ma un’evocazione della denominazione Parmigiano reggiano. Da qui lo stop all’uso del termine Parmesan.

L’allora ministro delle Politiche agricole, Paolo De Castro, che oggi nella nuova veste di europarlamentare sta affrontando la questione Prosek (già il 2 luglio ha inviato una lettera alla commissione Agricoltura), aveva dichiarato che la sentenza avrebbe rafforzato l’azione di tutela dei prodotti tipici Dop e Igp, considerati eccellenze nel mondo.

Ma evidentemente in Europa non si perde il vizio non solo di imitare i prodotti italiani, ma addirittura di “regolarizzare” i falsi.

L’annuncio dell’iter per il riconoscimento del Prosek croato, che peraltro è un vino dolce, evidenzia anche un atteggiamento strabico della Ue. O vogliamo dire che si attua una politica da due pesi e due misure? Perché, allora, aprire le porte al Prosek e chiuderle invece allo Champanillo spagnolo? Solo pochi giorni fa, infatti, una sentenza della Corte di Giustizia Ue aveva bocciato l’utilizzo di nomi che evocano comunque prodotti protetti. I produttori di champagne erano insorti contro lo Champanillo venduto nei bar spagnoli che inequivocabilmente riporta all’eccellenza francese. Ma se Champanillo evoca senza ombra di dubbio la coppa di champagne, come si può sostenere che Prosek non faccia pensare alle mitiche bollicine nazionali?

Da qui l’appello della Coldiretti a fare presto. Per il presidente Ettore Prandini bisogna fermare subito «una decisione scandalosa che colpisce il vino italiano più venduto nel mondo. Si tratta di un precedente pericoloso che rischia anche di indebolire la stessa Ue nei rapporti internazionali e sui negoziati per gli accordi di libero scambio dove occorre tutelare la denominazione Prosecco dai falsi in Paesi come il Brasile e l’Australia».

IL TRIONFO DEI FALSI

La questione è delicata e riguarda tutte le denominazioni nazionali, dal Nord al Sud. Dal Prosecco all’olio extra vergine, dalla passata di pomodoro ai formaggi e salumi fino ai vini è un trionfo di falsi per un giro d’affari che nel mondo ha sfondato i 100 miliardi. E che dire delle super imitate pizza e mozzarella? Sull’onda del successo canoro, in Lettonia era stata utilizzata una foto di falsi Maneskin per pubblicizzare mozzarella taroccata (italia formagia mokarellas) e pizza surgelata. Ai primi posti nella classifica dei cibi taroccati c’è proprio la mozzarella e infatti la Coldiretti ricorda che la Corte Ue ha già fermato la falsa mozzarella di bufala Dop catalana, ma la lista è infinita.

E d’altra parte il Prosek croato non è il primo, in Europa circolano da anni Meer-secco, Kressecco, Semisecco, Crisecco e così via. Se non si crea una barriera la deriva rischia di essere inevitabile. Appannare l’immagine del vino made in Italy, poi, può essere rovinoso per l’agroalimentare, che ha nelle etichette Doc un punto di forza. Nei primi mesi del 2021 le vendite di vino italiano sui mercati mondiali sono aumentate dell’11,2% con il Prosecco che traina l’export con un balzo del 35%. Un prodotto che trionfa sulle tavole degli Usa (+48%), della Russia (+115%) e della Francia (+32%), patria dello Champagne. E che recupera spazi tra i consumatori di casa.

I RISCHI PER LA DOP ECONOMY

L’Italia deve difendere il suo patrimonio ricco di Denominazioni di origine con 316 Dop, Igp e Stg per un valore della cosiddetta Dop economy vicino a 17 miliardi e 9,5 miliardi di export. «Un patrimonio – denuncia Coldiretti – sotto l’attacco del falso made in Italy che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale».

Se poi si abbassa la guardia, nell’Unione europea sarà ancora più difficile battersi per una tutela a 360 gradi negli accordi commerciali bilaterali che la Ue sta stipulando in tutte le aree del mondo, dal Canada al Giappone fino a Singapore. La lista dei prodotti protetti è assai risicata e soprattutto mancano quasi del tutto le denominazioni made in Sud. Mentre il Mezzogiorno è una miniera di eccellenze tra denominazioni protette, tradizionali e biologiche.

E intanto da domani, nella maxi fattoria della Coldiretti a piazza Santa Croce a Firenze, in occasione del summit dei ministri dell’Agricoltura del G20, sarà allestita una tavola del vero made in Italy con prodotti della campagna provenienti da tutte le regioni.


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