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Marco Mancini

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L’ultimo uomo della vecchia guardia dei servizi segreti, Marco Mancini è stato messo in pensione anticipata a sessant’anni. Era un maresciallo dei carabinieri passato ai servizi 37 anni fa ed era stato implicato in una serie di casi che in passato avevano fatto molto rumore.

Il più clamoroso fu quello in cui morì in Iraq il funzionario del Sismi Nicola Calipari, ucciso in un posto di blocco americano durante un’operazione che doveva servire a ottenere la liberazione della giornalista italiana Giuliana Sgrena.

Fu un incidente terribile che costò la vita a un funzionario di valore e il Sismi fu accusato di aver gestito in modo maldestro un’operazione che richiedeva competenze molto specifiche e un contatto affidabile con gli americani.

In quel caso restò implicato il direttore del servizio segreto militare Niccolò Pollarti che per questo fu processato.

Infine, Mancini era incappato in un incidente molto strano il 22 dicembre dello scorso anno, quando fu registrato nel video amatoriale di una donna che disse di averlo riconosciuto mentre chiacchierava alla luce del sole con Matteo Renzi nel parcheggio di una stazione autostradale alle porte di Roma.

IL RISVOLTO POLITICO

La sua defenestrazione, che segue di poco quella del generale Vecchione insediato da Giuseppe Conte di cui era il fidato referente, dimostra che il cerchio è stato chiuso e che da adesso Mario Draghi si può sentire con le spalle sicure, avendo il controllo dei servizi di informazione.

Tuttavia, la caduta di Mancini ha animato un’euforia liberatoria in quasi tutta la stampa, che ha assunto un atteggiamento in un campo, quello dello spionaggio e del controspionaggio, che per sua natura istituzionale di etico ha ben poco.

Il fatto ha un suo risvolto politico evidente: con questo ultimo atto – l’allontanamento di Mancini dal servizio segreto – si chiude una stagione che appartiene al passato e se ne apre un’altra che appartiene al presente e, probabilmente, a un lungo futuro.

Un governo si regge sulle proprie gambe soltanto quando il Primo ministro ha il controllo dei servizi segreti.

Nel caso di Draghi l’uomo giusto al posto giusto è stata una donna, Elisabetta Belloni, dopo il defenestramento del generale Vecchione, uomo di Giuseppe Conte.

In un breve siparietto televisivo durante il G20, Draghi ha detto sorridente alla Cancelliera: «Ti ricordo, Angela, che sono io il primo capo di governo ad aver scelto una donna alla testa dei servizi».

Ieri, l’ultimo atto: Marco Mancini, l’agente segreto che veniva dal freddo di tempi lontani e che era stato bruciato da una foto con Matteo Renzi in un parcheggio, è stato prepensionato a sessanta anni.

LA VERA PARTITA

Si chiude l’’epoca di cui Mancini e Vecchione rappresentavano i vecchi equilibri oggi saltati.

Non è detto che il siluramento di Mancini sia stato un atto di ostilità nei confronti di Renzi, ma piuttosto il benservito alla vecchia guardia.

Renzi – se non abbiamo capito male – è stato l’agente incaricato dall’Europa di far fuori il disastroso Conte avvocato del popolo per consentire all’Italia di incassare i miliardi sul piatto, ma solo dopo aver insediato un leader europeo oltre che italiano.

Ciò spiega l’apparente gaffe di Draghi quando ha dato del dittatore al turco Erdogan, colpevole di vilipendio islamico contro una donna presidente della Ue, Ursula Von der Leyen. Adesso che tutti i pezzi sono sulla scacchiera, comincia la vera partita.

Ma il caso di Mancini ha scatenato ieri come dicevamo una feroce campagna di articoli molto violenti nei confronti di quest’uomo. Mancini non solo non era un Santo, ma faceva un mestiere che è riservato a chi è in grado di compiere operazioni coperte, spesso ai limiti della legalità, note ai governi cui rispondono e nel caso dell’Italia anche all’organismo parlamentare del Copasir che il comitato di controllo sui servizi cui spetta il compito di vigilare sulle eventuali invasioni della politica nel campo del’intelligence.

L’INCONTRO CON RENZI

Il comitato aveva ascoltato a lungo il generale Vecchione, uomo di Giuseppe Conte, fino a poco fa al comando della nostra intelligence, a cui era stato anche chiesto conto dello strano incontro sotto gli occhi di tutti tra un funzionario dei servizi come Mancini e un ex presidente del Consiglio come Renzi.

Non si sa bene quale fosse l’imputazione o l’irregolarità contestata: sta di fatto che anche la circostanza secondo cui Mancini e Renzi furono immortalati nel video di una passante incuriosita dalla presenza dell’uomo politico, al di là di ogni legge e norma scritta, fece allora come oggi una pessima impressione.

Benché la circostanza sia tutto sommato ridicola, il generale Vecchione è stato indotto a emettere una circostanziata circolare destinata ai nostri agenti segreti con le prescrizioni e le cautele da adottare nel caso dovessero incontrare in un posteggio o in un bar su una spiaggia e in qualsiasi altro luogo pubblico o aperto al pubblico un uomo politico che fosse più o meno noto, specialmente se già capo del governo.

Tutto ciò, come facile comprendere, dimostra uno stato di decomposizione burocratica del tessuto dei servizi di intelligence italiani che hanno chiaramente bisogno di una revisione strutturale.

LA REVISIONE

Revisione che adesso è stata affidata alla dottoressa Belloni che ne riferirà allo stesso presidente del Consiglio.

Ma è evidente che tutto ciò ha un carattere soltanto pretestuoso, clamoroso, inconsistente, specie considerato che l’esito finale del video incriminato fu quello di finire sugli schermi televisivi nella rubrica reporter che lo mostrò come un glorioso trofeo.

Dal punto di vista della semplice intelligence ci sarebbe da chiedersi come diavolo fosse possibile che un agente segreto incontrasse un ex primo ministro in un parcheggio deserto facendosi filmare da una sconosciuta che portò poi il video alla redazione di una rubrica del servizio pubblico che la mandò in onda provocando un clamore tanto grande quanto privo di qualsiasi consistenza.


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