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la festa a Wembley dei tifosi italiani

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IN FONDO vive male, anzi malissimo. Perché non riesce a godere delle (poche) sue vittorie, mentre macina invidia e rancore per quelle degli altri, inevitabilmente più copiose. È il rosicone, figura mitologica e al tempo stesso ultra realistica dei nostri tempi. Tempi nei quali c’è poco da gioire e quando arriva qualche soddisfazione, tipo il successo negli Europei dei calcio, la malmostosità impedisce di goderli, visto che indossano le insegne di quelli che non ci piacciono. Rosicare ti fa male eh, ehi, suonano i coretti dei tifosi allo stadio. Mentre godono, ovviamente.

Hanno ragione, però il rosicone non se ne cura. È troppo preso a maledire e sminuire fino ad azzerare i successi altri per occuparsi del suo stato pressorio. Peraltro perennemente alto, per forza di cose. In politica il rosicone è un animale in perenne attività. Non riconosce in nessun caso meriti degli altri perché troppo impegnato nella denigrazione. Augura e spera nell’inciampo, prega per la tagliola che scatta, armeggia per lo sgambetto che prepara. Spesso non funzionano e accade il contrario di quanto agognato ma non importa: l’estasi rosicatoria sta nel preparare le polpette avvelenate. A volte capita che finisca per mangiarsele nella trance maleaugurante: fa niente, è un prezzo perfino dolce da pagare.

Rosicare è umano, troppo umano. Benché un tantino antidemocratico. Già, perché impedisce di gioire dei trionfi degli altri anche quando sono quelli tutti. Il rosicone non è patriottico, non gli importa un fico secco dello stendardo unitario che garrisce al vento. Quello che vuole è farlo ammainare, e al diavolo se si perde l’occasione dell’unità. Per questo il rosicone è un essere che non ama la compagnia e preferisce covare il suo rancore in solitaria nell’anima. Quando altri rosiconi si assiepano, li scansa perché il vero rosicone è uno e non accetta condivisioni. Per questo maggioranze larghe o addirittura larghissime gli provocano stranguglioni. Il rosicone vuole emuli e non amici. Può cercare complici, se necessario. Molto raramente alleati di cui, spesso a ragione non si fida. E infatti non a caso parente strettissimo del rosicone politico è il benaltrista. Altra figura siderale che trova sempre il pelo nell’uovo e dichiara senza mezzi termini che il risultato è molto diverso in senso peggiore di quel che si voleva ottenere e, appunto, ben altro sarebbe servito. Gli emicicli di Camera e Senato pullulano di simili azzeccagarbugli, che tuttavia non così sorprendentemente sono ospiti fissi nei talk show e nei dibattiti. Il rosicone non ha età, vive una stagione senza tempo.

Si può essere rosiconi giovanissimi, anche se la senescenza è la fase della vita più feconda per questo tipo di atteggiamento. Il rosicone è così parossisticamente proteso a sgambettare l’avversario che non si cura delle proprie contraddizioni, anzi del tutto naturalmente le nega. Se hai rosicato verso l’uno puoi tranquillamente rosicare verso l’altro e poco importa se nel frattempo quei due hanno rovesciato impostazione: rosicare è un moto di dentro, mica insegue l’avvicendamento dei personaggi, che importa di loro, ciò che importa è il veleno del rosicamento da spargere dovunque e su chiunque.

L’Italia è un popolo dove il rosicamenteo attecchisce raramente: quando lo fa, raggiunge vette inaccessibili. Molto più rosicanti sono i nostri vicini. I francesi per esempio, capaci di rosicare alla grandissima per la vittoria dei Maneskin all’Eurovision. Hanno insinuato che il cantante Damiano David sniffasse cocaina al momento della consegna del premio. Poi hanno dovuto fare marcia indietro. È così da sempre: la grandeur francese non ammette scalfitture. Figuriamoci poi dagli italiani. Successe anche decenni fa nel ciclismo, quando Gino Bartali schiantava tutti “con gli occhi allegri dell’italiano in gita”, e Paolo Conte ha immortalato che “ai francesi le palle ancora gli girano”. Giusto, proprio così. Il rosicone soffre di continui giramenti di dicotiledoni, nei passaggi in tv è sarcastico fino al dileggio, non conosce umiltà e mai sbaglia: a sbagliare sono sempre gli altri, è pacifico.

Anche gli inglesi non scherzano e la riprova è andata in mondovisione a Wembley con l’ammiraglia di Nelson affondata dal brigantino di Mancio. Che rosicata, my god! Il rosicone è vedovo. Del naufragio altrui, beninteso. Dalle nostre parti c’è un sacco di gente che rosica per i successi di SuperMario Draghi e non si dà pace. Subdolamente il vedovo rosicatore trama per far perdere chi gli ha tolto la luce della ribalta.

Non può contare sull’amico di sempre, il Visionario. Che non è rosicatore perché guarda avanti. Magari troppo, ma comunque solo e sempre avanti: il passato lo intristisce. Al contrario del rosicone che dal passato trae forza e nutrimento per il suo sentimento scontroso e musone. Il rosicone non è di compagnia. Avvelena i pozzi e non si perita di contemplarne le conseguenze.

Il rosicone è un nume solitario ma indefesso. Chi non risica non rosica, declama. Per questo il partito dei rosiconi è folto ma gassoso, non ha piedistallo tranne quello del proprio egocentrismo. Che gonfia lo stomaco d’invidia ma non è sufficiente né tantomeno appropriato per governare un Paese. Qualsiasi Paese.


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