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L’intensità del dibattito sull’obbligo di esibire il “Certificato numerico europeo Covid”, per accedere al chiuso e trattenersi ai tavoli di bar e ristoranti, mostra una attenzione per le condizioni imposte a questa libera e diffusa espressione di convivialità che probabilmente non merita le incertezze e le polemiche che si sono sviluppate.

Ma richiede di ricondurre i problemi nella cornice dei principi nei quali possono essere inquadrati.

Gli interrogativi più frequenti riguardano se sia sufficiente dichiarare di essere in possesso di questo certificato di vaccinazione, oppure sia necessario esibire il documento che contiene il nome e la data di nascita della persona, gli elementi digitali e alfa-numerici di identificazione della avvenuta vaccinazione; inoltre se assieme a questo che viene comunemente chiamato Green Pass, debba essere esibito un documento di identità, per dimostrare che il titolare del certificato vaccinale sia la persona che lo mostra; se questo capillare controllo, inteso come condizione per frequentare pubblici esercizi, debba essere effettuato da chi ne gestisce l’attività, con l’effetto di subire sanzioni anche per le falsità che possono essere attribuite ai  propri clienti.

Si può comprendere quanto siano diffuse incertezze e preoccupazioni, se sedersi al tavolino per gustare un gelato o andare a mangiare una pizza con amici determina controlli e problemi che possono apparire l’anticamera dello Stato di polizia. Forse una maggiore precisione nei provvedimenti e univocità nella comunicazione avrebbero potuto prevenire questo tipo di preoccupazioni. Tuttavia affiora una problematicità di fondo, se autorevoli e non faziosi filosofi ed uomini di salda cultura hanno espresso la preoccupazione che un controllo su ordinarie e comuni attività della vita sociale delle persone possa determinare indebite limitazioni della libertà.  

Le questioni concrete che sono state poste trovano corretta soluzione nel rispetto dei principi costituzionali. Anzitutto la tutela della salute individuale e collettiva nel contesto della attuale pandemia. La costituzione impegna la Repubblica, in tutte le sue articolazioni istituzionali, a tutelare la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Le vaccinazioni possono essere rese obbligatorie, quando sono giustificate per prevenire e possibilmente debellare gravi malattie diffusive e contagiose. Non è una esperienza del passato. Ne sono previste alcune praticate in età infantile, prima dell’inserimento nella comunità scolastica, e a fronte di alcune malattie hanno salvato generazioni dal rischio di morte o di danni permanenti.

La imposizione della vaccinazione deve essere giustificata, sia se fosse imposta come obbligo generalizzato, sia nella forma meno ampiamente costrittiva della condizione per svolgere determinate attività o partecipare ad eventi per i quali è elevato il rischio di diffusione della malattia. Sia l’obbligo generalizzato, sia l’onere di vaccinazione devono essere giustificati. Questa profilassi sanitaria deve essere adeguata rispetto all’obiettivo concreto della tutela della salute individuale e collettiva. L’imposizione o il sacrificio richiesto a chi subisce la vaccinazione deve essere proporzionato rispetto al fine da perseguire. Inoltre un eventuale danno che la persona dovesse riportare a causa della vaccinazione, praticata nell’interesse collettivo, deve essere indennizzato.

Le questioni che sono state in concreto poste riguardano la permanenza per non breve tempo di numerose persone nei pubblici esercizi, in luoghi chiusi nei quali, per consumazioni o pasti, non sarebbe possibile l’uso di altre cautele quali le mascherine. La valutazione della rischiosità di questa situazione per la diffusione dell’epidemia è di carattere tecnico sanitario, e in rapporto a questa valutazione il sacrificio che viene richiesto, vale a dire di essere immunizzati o non portatori della malattia per partecipare all’evento, non appare irragionevole. Tuttavia deve essere proporzionato nei modi e nelle forme nelle quali l’onere si esprime: la apposita certificazione, anche informatizzata o i risultati del tampone, come sola condizione per trattenersi nei pubblici esercizi.

Una ulteriore garanzia deve essere offerta dall’intervento del Parlamento. Limitazioni di questo tipo alla sfera della persona devono essere stabilite con legge, e in caso di urgenza con decreti legge che è compito del Parlamento valutare e convertire in legge. 

 Il controllo diffuso della identità personale degli avventori da parte del privato esercente sembra eccedere rispetto all’obiettivo. Tanto meno può essere pretesa una sorta di schedatura della clientela. Diversi è il caso nel quale, ad esempio per ragioni di prevenzione e di sicurezza, è nominativo l’ingresso in posti assegnati negli stadi e può essere richiesta la identificazione del titolare del biglietto. Se per la mancata osservanza dell’obbligo di essere in possesso del Green Pass sono previste sanzioni pecuniarie, penali o amministrative, l’accertamento di eventuali violazioni e la identificazione dei contravventori è di competenza degli organi di polizia. 

C’è da chiedersi se anziché percorrere la strada della induzione a vaccinarsi, prevedendo obblighi per categorie o per attività ed eventi, non sarebbe più lineare prevedere l’obbligo generalizzato di vaccinazione, ricorrendone le condizioni ed esentando chi per stato di salute rischierebbe di essere danneggiato da questa profilassi.  Come pure c’è da chiedersi se in un contesto di più elevato e diffuso senso civico e di consapevolezza del dovere di rispetto della salute altrui e di solidarietà, non sarebbe sufficiente la indicazione sanitaria autorevole dei comportamenti da seguire per determinare una spontanea adesione ad essi, che non richieda prescrizioni normative e sanzioni.


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