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Ma chi sono quelli che dovrebbero invaderci? L’ondata più recente di arrivi è formata da ragazzi provenienti dalla Tunisia, realtà che ha 11 milioni e 500mila abitanti, poco più della Campania e Sicilia messe insieme.

La dimensione demografica della Grecia. Poco distante dal nostro Paese: da Pantelleria sono 40 miglia, circa 70 km, che la separano da Kelibia.

Da Lampedusa circa 140 chilometri da Madhia, anche se poi la presenza dell’hotspot nella maggiore delle Pelagie fa indirizzare questi ragazzi dai mercanti di carne a Lampedusa.

LA VICINANZA

Se guardiamo la cartina dell’Europa sono un po’ meno dei 4.000 chilometri che separano la Sicilia dalla Finlandia o dei 2.500 che ci vogliono per arrivare in Polonia, con i quali siamo confederati.

Per questa vicinanza la Tunisia è stata parte dell’Impero Romano per circa 500 anni, compresi I 150 anni di dominio bizantino con quello Romano d’Oriente.

All’epoca la Tunisia faceva parte delle province africane ed era considerata il granaio di Roma. Vennero costruite grandiose opere pubbliche che ne fanno una regione ricca e interessante da vedere e conobbe una grande prosperità. I mosaici del Pardo sono talmente belli da meritare un viaggio.

Tutto questo quando il mondo si muoveva attorno a Roma. Recentemente, con la collusione della classe dirigente del triangolo Bologna Milano Venezia, diventati provincia della grande Germania, e noi periferia dell’impero, ovviamente il Nord Africa è diventato altro da cui difendersi, chiudendo porti e schierando motovedette a difesa. Malgrado i 6.000 pensionati italiani che vi hanno trasferito la loro residenza.

La Tunisia ha lo stesso clima della Sicilia nella parte Nord, infatti Ragusa in Sicilia è sotto il parallelo di Tunisi, più simile di quello finlandese. Certo, in questo momento pensare a come frenare il flusso in arrivo con i viaggi dei ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio e accordi per i rimpatri è un approccio corretto e forse l’unico possibile, visto peraltro che nella maggior parte dei casi si tratta di migranti economici.

IMPOSSIBILE FERMARLI

Ma la sensazione è che si vuole turare la diga con un dito. Infatti la legge dei vasi comunicanti prevede che laddove due recipienti siano in collegamento l’acqua di uno tenderà a passare nell’altro finché entrambi avranno lo stesso livello.

Il livello di cui parliamo è il reddito pro capite, e la differenza tra il mondo africano e quello europeo è così sperequato che non vi saranno motovedette o porti chiusi che impediranno l’ingresso a migliaia di giovani africani in cerca di una possibilità di futuro.

Per questo lo slogan «aiutiamoli a casa loro» deve diventare un programma operativo, per evitare che ingressi disordinati mettano in difficoltà molti Paesi Ue o ci costringano a finanziare,sotto il ricatto dell’apertura dei flussi, Erdogan per bloccare la via dei Balcani o i libici per richiudere i fuggitivi dal centro Africa in lager di cui la nostra coscienza ci chiederà conto.

L’EURABIA

Pare che di tutto questo l’Unione non se ne faccia carico, preferendo una gestione estemporanea.

Il tema della Tunisia, per esempio, sarebbe di quelli più semplici, perché è una democrazia giovane ma già abbastanza evoluta rispetto a tutti gli altri paesi del Nord Africa. Con un reddito pro capite a parità di potere d’acquisto di circa 10.000 euro che non è poi così distante da quello delle nostre aree meridionali. Potrebbe rappresentare anche un mercato di consumo importante per il nostro Paese. Peraltro parlano il francese, visto che sono stati colonia fino al 1956.

Bene, rispetto a questa realtà e all’interesse dell’Italia al suo sviluppo poco si è fatto, preferendo l’allargamento a Est, che si comprende, considerate le stesse origini cristiane, ma che ha fatto la fortuna della Germania, facendoci diventare periferia. Invece bisogna cominciare a prendere dimestichezza con il concetto di Eurabia e con l’esigenza di sopravvivenza della nostra identità collegata allo sviluppo di tali aree.

Perché il ricatto al quale saremo sottoposti sarà del tipo: «O mi sviluppi o ti invado». La realtà tunisina, piccola economia rispetto al colosso europeo, sia in termini di popolazione, 2% degli europei, che in termini di Pil prodotto, se avesse gli stessi aiuti che hanno avuto alcuni paesi dell’Est come l’Ungheria, con altrettante dinamiche democratiche molto complicate, probabilmente non rappresenterebbe quella minaccia che in questi ultimi mesi sembrerebbe, con i barchini che continuano ad arrivare mettendo in difficoltà il governo del Paese ma anche gli equilibri politici. Purtroppo l’allargamento a Est è stato subìto, anche con il contributo dei nostri statisti, senza chiedere in cambio una politica mediterranea con soldi veri.

I FALLIMENTI

L’area di libero scambio è risultata un fallimento perché finanziata con risorse risibili. In effetti gli interessi della parte forte dell’Europa erano tutti verso l’allargamento a Est, compresi quelli della Francia, che è una realtà mediterranea solo a parole, perché proiettata in verità verso il Centro Europa. Rimasti soli, Spagna, Italia, Grecia e la piccola Malta non sono riusciti a difendere posizioni che però sono di interessi comuni europei, come si sta vedendo, considerato che i giovani tunisini, per parlare solo di loro, età media poco sopra i 30 anni, non rimarranno ai margini di uno sviluppo che li vorrebbe lasciare esclusi.

CORRERE AI RIPARI

Ora bisogna correre ai ripari perché nel Mediterraneo si giocherà la sopravvivenza della Ue, che sul problema/opportunità immigrazione continua a balbettare. A maggior ragione se una pandemia rende i movimenti ancor più pericolosi e da considerare una minaccia. Più che pensare a come ridistribuire gli arrivi, che è cominciare dalla coda, conviene ripartire dal «In nome del padre».

Altrimenti dovremo anche in questa occasione inseguire una problematica senza arrivare alla testa dell’acqua. In realtà si sente sempre più la mancanza di una politica estera europea che riguardi il “Mare nostrum” che rischia di diventare il mare loro. Dei turchi di Erdogan, dei russi di Putin e degli americani di Trump.

È fin troppo evidente che, anche su questo tema, o vi è l’Unione o saremo spettatori.


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