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Un asilo nido

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A descrivere la condizione in cui versano i servizi educativi per la prima infanzia nel nostro Paese è la direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, Raffaela Milano, che sottolinea come nonostante i bambini 0-2 anni siano stati formalmente inclusi nel sistema di istruzione, la povertà educativa inizi per molti di loro proprio dai primissimi anni di vita. Un deficit gravissimo, destinato a ripercuotersi in generale sulla salute e sui redditi futuri delle nuove generazioni, ma che nei territori svantaggiati del Mezzogiorno è oramai da anni vera e propria emergenza.

NEXT GENERATION

Le risorse del piano Next Generation, che il governo italiano sta per presentare all’Europa, dovranno quindi essere impiegate per il rafforzamento di questa rete cruciale di servizi e in questa direzione proprio Save the Children ha chiesto che il piano nazionale del Recovery Fund affronti, coerentemente con le Raccomandazioni specifiche del Consiglio europeo e le linee generali del Programma nazionale riforme 2020, la costruzione di una infrastruttura nazionale di servizi educativi per i bambini zero-due anni.

Assicurando entro il 2023 – ciò che più conta, in tutte le regioni – l’accesso di almeno il 33% dei bambini e raggiungendo, entro il 2027, l’obiettivo del servizio educativo zero-sei come diritto per tutti i bambini. Investimenti ormai improrogabili non solo alla luce dei numeri del 2020 – anno in cui la metà dei bimbi under 3 non ha frequentato il nido o l’asilo, rimanendo a casa con un familiare nella quasi totalità dei casi – ma anche dei dati a disposizione da alcuni anni di Istat, ministero dell’Istruzione e dello Sviluppo economico.

Considerando infatti che, per quanto riguarda quest’anno, in più di un caso su tre il motivo principale per cui il bambino non ha frequentato il nido è stato di tipo economico, la spesa pubblica per i nidi è di 88 euro l’anno per un bambino residente in Calabria e di 2.209 euro l’anno nella Provincia Autonoma di Trento.

I POSTI NEGLI ASILI DEL MEZZOGIORNO

Secondo l’ultimo dossier pubblicato dall’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, in collaborazione con il ministero dello Sviluppo Economico, in Italia trova posto in un asilo nido – pubblico o convenzionato – poco più di un bimbo su cinque e la copertura cambia molto da regione a regione.

Si va dal 34,3% dell’Umbria al 6,7% della Campania (dove trovano posto 3 bimbi su 50), con sei regioni – praticamente l’intero Meridione – sotto la media nazionale del 21,7% (già insufficiente rispetto al 33% di copertura che era stato richiesto entro il 2010 dall’Europa): Campania, appunto, e poi Calabria (8,8%), Sicilia (9,3%), Puglia (13,6%), Basilicata (14,2%), Abruzzo (19,9%). La mancata integrazione tra Nord e Sud – e tra Stato, Regioni e Comuni – è stata evidenziata, rispetto agli interventi realizzati negli ultimi 10 anni, anche dallo studio dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato. Il quale ha rilevato un’offerta limitata a causa dell’insufficienza dei finanziamenti disponibili e la mancata sinergia tra pubblico e privato, ma soprattutto la gravissima discriminazione territoriale dei bambini residenti in regioni come Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Molise, rispetto ai coetanei del Nord, legata al tasso di povertà materiale ed educativa.

La stessa diseguaglianza riscontrata più volte dal Comitato sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite che, dopo aver rilevato un grave rischio di esclusione economica, sociale e quindi formativa per la prima infanzia nelle regioni del Sud Italia, ha prescritto al nostro Paese misure correttive entro il 2023.

I TIMORI PER IL RIENTRO

Oggi, quindi, secondo la direttrice Europa-Italia di Save the Children, «è più che mai fondamentale per la ripartenza garantire l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia a tutti i bambini». In generale, secondo la ricerca «La scuola che verrà: attese, incertezze e sogni all’avvio del nuovo anno scolastico», che contiene anche una rilevazione condotta in esclusiva da Ipsos proprio per  Save  the Children, non è un caso che “incertezza” e “preoccupazione” siano i sentimenti con cui i genitori e gli stessi bambini affrontino la riapertura della scuola dopo il lungo lockdown.

Ben 7 genitori su 10, ad esempio, sono preoccupati del rientro, vista l’incertezza su modalità di ripresa (60%), rischi legati al mancato distanziamento fisico (51%) e quindi dalle possibili variazioni di orario di entrata/uscita da scuola che potrebbero non essere compatibili con gli impegni lavorativi dei genitori (37%). Aspetti che soprattutto al Sud – alle prese con le classi pollaio, un trasporto locale insufficiente e aule meno sicure sia da un punto di vista strutturale che igienico-sanitario – rischiano di mettere a rischio il ritorno stesso e la continuità della didattica in presenza.

IL DIGITAL DIVIDE PENALIZZA IL SUD

Tra le principali preoccupazioni anche quella legata alle difficoltà di apprendimento ed al cosiddetto learning loss: se quasi un genitore su 5 (18%) ritiene che il proprio figlio non sia pronto ad affrontarne il programma a causa della perdita di apprendimento conseguente alle condizioni imposte dal confinamento, le famiglie del meridione dovranno fare i conti anche con una rete infrastrutturale e dispositivi tecnologi insufficienti a garantire un eventuale ritorno alla didattica a distanza o mista. Poi ci sono le condizioni economiche peggiorate negli ultimi mesi: un genitore su 10 crede di non potersi permettere l’acquisto di tutti i libri scolastici, ma non è un caso che il comparto cartolibrerie e librerie italiano registri perdite più significative in Calabria e Sicilia, rispetto a Liguria e Lombardia.

Anche il capitolo mense apre alla diseguaglianza: se 7 genitori su 10 fra coloro che usufruiscono del servizio mensa si dichiarano preoccupati della possibile sospensione del servizio a causa delle norme anti-Covid e due genitori su 10 fra coloro che ne hanno usufruito negli anni passati per i propri figli di 4-12 anni pensano di non poter sostenere le spese il prossimo anno, l’allarme scatta soprattutto al Sud, dove sette regioni registrano il numero più alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (81,05%), Molise (80,29%), Puglia (74,11%), Campania (66,64%), Calabria (63,78%), Abruzzo (60,81%) e Sardegna (51,96%).

LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Riguardo la dispersione scolastica, i numeri già critici in era pre-Covid – con percentuali doppie nel Sud rispetto al Nord – rischiano di risentire anche di tutte le altre diseguaglianze, legate alla povertà dei nuclei familiari, alle ore del tempo pieno (di fatto, inesistente nel Mezzogiorno), al numero di docenti e personale Ata, alle prese con una media di alunni da seguire sensibilmente più alta del centro-Nord. «L’obiettivo oggi da porsi – sottolinea Milano – non è tornare alla condizione pre-crisi, ma compiere un deciso passo in avanti sul diritto all’educazione di qualità per tutti, superando le gravi diseguaglianze che si sono consolidate in questi anni».


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