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Giuseppe Pisauro, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio

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LA QUOTA riservata del 34% al Sud degli investimenti ordinari delle amministrazioni centrali è un piccolo passo avanti, ma certo non sufficiente a risollevare le sorti di un’area del Paese che per decenni ha avuto la possibilità di accedere a una quota di risorse molto più limitata rispetto al resto d’Italia. Problematiche territoriali, classe politica più attenta alle richieste provenienti dal ricco Nord, amministratori locali spesso poco incisivi: le responsabilità sono diversificate, ma tant’è. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), in un rapporto dedicato alla politica di bilancio 2020, dedica un approfondimento alla norma sulla quota riservata del 34% di investimenti al Sud, corrispondente alla popolazione residente, mettendone in evidenza luci e ombre.

RISORSE DISPONIBILI

Ora che la sensibilità politica per il Mezzogiorno sembra finalmente risvegliata, con il Piano per il Sud nell’agenda del governo (anche se ancora allo stato embrionale), è opportuno segnalare, come fa il documento dell’Upb, i limiti applicativi della norma per assumere le decisioni conseguenti. L’analisi parte dalla quantificazione delle risorse che possono essere effettivamente oggetto di “territorializzazione”. La norma della legge di bilancio, prevedendo l’assegnazione ad Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna di un volume di spese in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione residente (appunto il 34% circa), delimita l’ambito di applicazione alle risorse per le quali non siano già previsti «criteri o indicatori di attribuzione» individuati alla data di entrata in vigore della disposizione.

La quota che si applica agli investimenti diretti delle amministrazioni centrali, ai contributi agli investimenti delle altre amministrazioni pubbliche e al settore privato. In totale, circa 52,2 miliardi di euro nel 2020. Ma dagli stanziamenti presi in considerazione, spiega l’Upb, vanno escluse le risorse del fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie e quelle per la programmazione 2014-2020 del fondo per lo sviluppo e la coesione, e quelle per le quali è già presente un vincolo territoriale specifico e criteri di attribuzione. Le risorse oggetto di riparto territoriale si ridurrebbero così a soli 9 miliardi e la quota spettante al Sud risulterebbe di circa 3 miliardi.

LE CRITICITÀ

A questa analisi dei dati di bilancio l’Upb aggiunge una considerazione di carattere generale. «Lo stanziamento di risorse nel bilancio dello Stato non è garanzia di erogazione effettiva», che dipende dalla capacità amministrativa e di spesa delle amministrazioni. Un esempio lampante sono i fondi strutturali europei, risorse a disposizione che fanno però fatica a essere utilizzate soprattutto dagli enti meridionali. «Il rafforzamento delle amministrazioni pubbliche delle regioni meridionali – scrive l’Upb nel rapporto – appare quindi un elemento ineludibile di un intervento complessivo a favore del Meridione». Sarebbe anche opportuno, oltre che una maggiore trasparenza da parte delle amministrazione centrali sui programmi che possono essere sottoposti alla clausola del 34%, anche ampliare il perimetro di riferimento estendendolo alle «grandi imprese pubbliche nazionali». Attualmente la riserva del 34% si applica soltanto a Anas e Ferrovie.

NESSUNA PUNIZIONE

L’Upb segnala inoltre l’assenza di «un sistema di penalizzazioni per le amministrazioni centrali che non rispettano il principio del riequilibrio e per quelle che non soddisfano gli obblighi informativi nei confronti dei soggetti incaricati di verificare il rispetto della norma». In linea generale, conclude l’Upb, riuscire a mettere in atto un sistema efficace di monitoraggio della spesa in conto capitale, che va dalla fase dello stanziamento a quella della realizzazione, «rafforzerebbe l’efficacia delle misure di garanzia destinate al Mezzogiorno, oltre a migliorare la capacità dell’intervento pubblico nell’economia».


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