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Produttività e investimenti; politiche di supporto alle attività produttive puntuali; digitalizzazione; capitale umano: quattro elementi di criticità del sistema economico italiano che devono diventare aree di intervento prioritario e «cruciale per un corretto utilizzo» del Recovery Fund. L’indicazione arriva dall’Istat che, in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, ha voluto offrire un contributo di informazione e analisi per la definizione del Recovery Plan che il governo intende presentare a Bruxelles entro il 15 ottobre. I segnali di ripresa ci sono, ma se non si interviene sui gap e sui ritardi strutturali, quella che l’Europa ci offre rischia di essere l’ennesima occasione mancata.

Anche per questo il direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, Roberto Monducci, ha suggerito, una volta individuate le priorità, l’avvio di costante di monitoraggio e una valutazione ex post ed ex ante fin dalla fase preliminari degli interventi. Ma, soprattutto, Monducci ha sollecitato da parte della pubblica amministrazione un ruolo «molto più attivo» soprattutto sul capitolo “investimenti”, dove il suo contributo è stato negli ultimi anni particolarmente «deludente», facendo anzi registrare un vero e proprio crollo.

IL QUADRO ECONOMICO

Il crollo dei consumi e degli investimenti determinato dal lockdown ha provocato una contrazione del Pil del 12,8% nel secondo trimestre – un dato peggiore di quello tedesco (- 9,7%), ma migliore di quello francese (-13,8%) e spagnolo (-18,5%) – cui ha contribuito in negativo anche la componente estera. Ma alla contrazione del mese di aprile è seguita una fase di recupero che è proseguita anche a maggio e giugno, con una ritrovata vivacità della produzione industriale e dei consumi e anche delle esportazioni. Segnali positivi anche per luglio e agosto, evidenziati anche dal migliorato clima di fiducia delle imprese. Sul fronte del mercato del lavoro, rispetto a febbraio il gap nel numero di occupati è passato da -557mila a giugno a -472mila a luglio, quando l’occupazione ha segnato + 85mila unità rispetto a giugno (+0,4%), con una significativa espansione dell’occupazione femminile (+80mila).

PRODUTTIVITÀ E INVESTIMENTI

Tra i gap che potrebbero essere colmati o mitigati da un corretto utilizzo dei fondi europei, l’Istat ha posto la bassa produttività su cui l’Italia “vanta” una lunga storia, con evidenti implicazioni sull’attuale livello di sviluppo e sulle prospettive future. Dalla crisi del 2009 ad oggi il divario di crescita della produttività italiana rispetto ai principali paesi europei si è ulteriormente ampliato. In particolare, nel 2019, la produttività del lavoro italiana ha registrato un incremento dell’1,2 % rispetto al 2010, mentre in Germania, Francia e Spagna è aumentata in media dell’8%. «Noi – ha affermato Monducci – associamo questo fenomeno anche a un gap di investimenti». Nel 2019, ha rilevato l’Istat, la spesa complessiva per investimenti è stata pari a 322,7 miliardi di euro, lo stesso livello del 2010 (322,6 miliardi). Gli investimenti delle amministrazioni pubbliche sono diminuiti nel periodo del 18,9%, mentre quelli del settore privato sono aumentati del 3,5%.

Monducci ha puntato il dito sul il ruolo della Pubblica amministrazione: «In questa tendenza negativa nella capacità di accumulazione di capitale del Paese ha avuto un ruolo centrale, ovviamente in negativo, e ha determinato il gap». Dal 2008 al 2019 la quota di investimenti pubblici italiani è scesa di circa un punto (da 3,2% a 2,3%) – 2,8% il dato dell’aerea euro. Il maggior contributo al calo degli investimenti pubblici è arrivato dalle amministrazioni locali, con una riduzione tra il 2010 e il 2019 del 26,5%, mentre per le quelle centrali e gli enti di previdenza la contrazione è stata più contenuta (-6,6%). In termini di Pil, il dato del 2019 relativo al totale degli investimenti è pari al 18,1%: quattro punti in meno rispetto alla media degli altri paesi europei (22%).

IMPRESE

Quanto alle politiche di sostegno al tessuto economico, secondo l’Istat partire da una mappatura del sistema produttivo del Paese «consentirebbe di una maggiore efficacia degli interventi e una maggiore efficienza dell’impiego delle risorse europee». «Le politiche indifferenziate – ha affermato Monducci – rischiano di essere dispersive e piuttosto bisogna stimolare le realtà imprenditoriali ad uscire da una logica difensiva, puntando invece ad un dinamismo utile alla crescita. Il tessuto delle impresse non riesce a trasformare le risorse in investimenti e se non si pone rimedio a questo si rischia di sprecare i fondi a disposizione».

DIGITALIZZAZIONE E CAPITALE UMANO

Digitalizzazione e la formazione del capitale umano sono “capitoli” su cui anche l’Europa ha puntato l’obiettivo. Su entrambi l’Italia è in ritardo rispetto ai suoi partner europei. «Servono infrastrutture, capacità manageriale e capitale umano per sfruttare al massimo gli investimenti in beni materiali che, senza un adeguato ambiente anche culturale all’interno delle imprese, non riescono a trovare sbocchi», ha spiegato Monducci, aggiungendo che «solo quattro imprese su ogni 100 possono essere definite digitalmente mature». A allo stesso tempo sul capitale umano «emerge un ritardo notevole: siamo andati avanti in termini di scolarizzazione e incidenza dei laureati, ma il gap rimane alto e tende ad aumentare».


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