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Il soccorso di alcuni migranti nel Mediterraneo

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Mare nostrum lo chiamavano i romani. Invece, grazie alla Ue e alla corresponsabilità dell’Italia sta diventando solo mare aliorum. Dei turchi di Tayyip Erdogan, che mandano la Oruc Reis alla ricerca di idrocarburi in aree marine al confine della Grecia, degli israeliani, degli Usa sempre presenti in ogni scacchiere, dei russi, ma anche dei libici, che sequestrano i nostri pescherecci, dei tunisini e degli algerini. Mentre l’Europa assiste inerme a qualche incursione dannosa dei francesi in Libia, l’intervento tedesco si limita a sollecitare a pagare con tanti euro il dittatore turco per bloccare nei nuovi campi di concentramento gli arrivi dei migranti, in modo che non arrivino a disturbare la ricca Europa, che rimane a guardare.

Mentre noi italiani subiamo tutte le conseguenze del mancato intervento accogliendo, con tanta ingenuità e piccole furbizie, come quella di dare agli entranti il foglio di via obbligatorio, in modo da farli scappare nella ricca Europa centrale.

IL NODO DELLE ZES

L’Italia al momento opportuno, Prodi presidente della Commissione, non riuscì a imporre, a fianco dell’allargamento a Est, quella visione euromediterranea indispensabile per noi ma anche per la miope Europa, e a fare finanziare in modo serio e non nominale l’area di libero scambio, imponendo quel concetto di Eurabia che doveva servire a evitare di avere di fronte, invece che partner sviluppati, poveri emigranti alla ricerca di un futuro.

Con l’approvazione delle Zes, facendo sì che avessero una vocazione portuale e quindi una proiezione verso il canale di Suez raddoppiato, abbiamo fatto un passo in avanti. Ma sembra che ora tale visione si sia persa per reintroiettare una visione provinciale che guarda a ciò che già esiste: davvero poco, visto che si sa che la dimensione manifatturiera del Sud, comprese le costruzioni e i sommersi, ha bisogno, per raggiungere la percentuale delle realtà sviluppate, di un incremento di i tre milioni di saldo occupazionale. Le Zes che retrostanno ai porti, intanto, sono in ritardo se si pensa che le prime, quelle di Campania e Calabria sono state adottate nell’aprile 2018.

Una legge di bilancio ha previsto un commissario governativo per ogni Zes, che rischia di creare una diarchia di poteri con il presidente dell’autorità portuale, mentre la maggior parte delle Regioni stenta a farle partire, poiché si cerca di piegarle agli interessi della classe dominante estrattiva politica, che cerca un modo di distribuire favori e risorse per alimentare il proprio consenso piuttosto che per il bene comune, in questo caso rappresentato dall’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, che in realtà non interessano, nel breve , la platea di chi vota, e quindi neanche le rappresentanze elette.

OBIETTIVO AFRICA

L’attrazione delle sirene del consenso che cantano per qualunque amministrazione, di destra e sinistra regionale, sia al potere, non trova un contraltare nazionale che impedisca l’uso distorto e strumentale di uno strumento che rischia, come tutti gli altri adottati negli anni sempre molto poco sistemici, di fallire il suo obiettivo, peraltro nemmeno definito nelle dimensioni dell’aumento degli occupati né nella sua dimensione temporale.

Mentre il Mezzogiorno continua a spopolarsi a vantaggio di un Nord che invece le politiche per le aziende localizzate prevalentemente nella sua area le propone, le fa approvare e se le difende. La mancanza di visione euromediterranea trova una visione plastica nelle affermazioni del ministro Rodolfo Gualtieri, che afferma, quasi fosse una medaglia da appendersi al bavero della giacca, che certamente il progetto del Ponte sullo stretto non partirà nei prossimi cinque anni e magari anche l’alta velocità ferroviaria da Salerno a Palermo/Augusta, non recuperando quella proiezione che dovrebbe dare, come logistica, migliaia di posti di lavoro, e consentire finalmente alle Zes di diventare seriamente attrattive.

Il Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2020 è stato convocato dal Presidente Michel per discutere anche delle relazioni tra la Ue e Africa. Dando particolare importanza anche al sostegno all’integrazione economica a livello regionale e continentale nonché alla sua promozione. Ma sembra più una firma di un cartellino che un impegno vero. Non ci si rende conto che il continente africano, nel bene e nel male, è quello che avrà nei prossimi anni incrementi demografici che lo faranno avvicinare in termini di importanza a quello asiatico. L’Onu  ha infatti evidenziato che più della metà della crescita della popolazione globale tra oggi e il 2050 dovrebbe avvenire in Africa. L’Africa ha il più alto tasso di crescita tra le principali aree e si prevede che la popolazione dell’Africa sub-sahariana raddoppierà entro il 2050. L’Europa può illudersi di contenere il flusso migratorio, lasciando all’Italia il lavoro sporco e che, con barchini e barconi, alla chetichella o con recuperi importanti effettuate dalle Ong, si recuperino le persone che si possono, trasformando il Mediterra da un lago di vita a un mare di morti. Ma se non si interviene in maniera tempestiva e consistente il rischio che si venga travolti dal problema/opportunità Africa sarà enorme. Per questo l’Italia, che il fenomeno lo vive più intensamente degli altri e che con gli arabi ha avuto un rapporto antico, deve impegnarsi a far comprendere che, perlomeno sulla sponda sud del mare nostrum, bisogna intervenire con programmi di sviluppo importanti.

CHANCE MEDITERRANEA

In questa logica la nostra proiezione verso Sud deve cambiare e il collegamento con l’Africa, alta velocita ferroviaria e ponte sullo Stretto compreso, deve diventare prioritaria, perché quel mercato per noi è di estremo interesse. Ovviamente tali proiezioni ai subfornitori veneti e lombardi dell’industria franco-tedesca possono interessare poco, tranne poi lamentarsi dell’invasione dello straniero e alimentare movimenti politici xenofobi.

In una visione di Paese futuro essere la piattaforma logistica del Mediterraneo può diventare un affare straordinario. Ovviamente se saremo capaci di avere un progetto Paese. Già da tempo Svimez ha individuato nel driver logistico quello su cui puntare nei prossimi anni. Ma sembra che tale approccio non interessi alla Conferenza delle Regioni, che invece continua a parlare di una locomotiva con un motore che batte in testa e continua a pensare a un’autonomia differenziata che sembra il movimento di chi, essendo nelle sabbie mobili pensa di salvarsi, non capendo che invece provoca un più veloce inabissamento.


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