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I ministri Giuseppe Provenzano e Francesco Boccia

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La bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) circolata in questi giorni è il frutto esemplare che può consentirsi questo governo costretto a un navigare a vista e costretto – perché l’Unione lo impone – a guardare al futuro, alzando lo sguardo al di sopra della tremenda responsabilità di gestire il dramma della pandemia. Stretto dalle precise condizionalità esplicitate dalla Ue, si attende ancora che batta davvero un colpo che si chiama visione e strategia. Questa bozza era l’ occasione per volare alto rispetto ai cangianti dibattiti di retroguardia proponendo una rotta coraggiosa. Condizione minima indispensabile per risalire dal burrone nel quale si è caduti e, soprattutto, per dirci che la gravità estrema di questo accidente è commisurata ai venti anni nei quali abbiamo realizzato un progressivo smottamento senza reazioni degne di nota che ci dice, almeno, quello che è assolutamente da evitare.

Occorre guardare in faccia alla realtà – il primo a farlo dovrebbe essere il governo – per dire con chiarezza agli italiani perché e a quale scopo quasi all’improvviso Francia e Germania impongono ai riluttanti partner un soccorso di 200 miliardi (oltre il 30% del totale). È chiaro agli altri che l’ Italia malata rappresenta un rischio che è necessario assolutamente mutualizzare.

La pandemia ha imposto una scomoda operazione verità (che ne richiama altra ben nota) che si riassume nel fatto che il Sud, in ritardo nel 2019 di oltre 10 punti di Pil dal livello del 2007 precipita nel 2022 a un previsto meno 19 punti, e il ritardo di 2 punti del Nord più che raddoppia mentre l’Ue nel 2019 era già di ben 11 punti al di sopra, come la Francia e la Germania di ben 15 e si prevede che tutte nel 2022 – recuperato lo shock de 2020 – si allontanano da noi a distanze siderali. Di questo e di come colmare il baratro c’è ben poco nelle esangui rituali argomentazioni formali del documento. Intanto torna a montare l’ insofferenza di regioni impazienti di riesumare pretese – nello stile di Brenno – di una comoda autonomia senza secessione.

Di tutto questo certo il governo è informato, ma non lascia trapelare quale sia se c’è il piano shock per l’ azione di emergenza. Né al momento sembra raccogliere il chiaro monito con il quale l’Ue condiziona quel munifico intervento all’obiettivo di ridurre le disuguaglianze, e di recuperare una coesione del Paese che sembra andare in pezzi; condizioni essenziali per garantire sostenibilità ambientale e sociale e la ripresa dello sviluppo green e smart che dovrebbe condurci alla decarbonizzazione per il 2050.

Le cose da fare a cappello di un qualsiasi documento e cardine per la definizione di una strategia sono semplici e banali da anni oggetto di una sorda contesa al contempo elusiva (sui diritti di cittadinanza ieri, sulle condizionalità oggi) ed aggressiva (sull’ autonomia), un combinato disposto assolutamente da smontare se si vuole parlare davvero di coesione e sviluppo. Sarà – auspicabilmente – compito dell’Unione vigilare che la stella polare di quelle condizionalità rimanga ben vivida a illuminare la strada.

La bozza del PRRN con i suoi grafici e le simulazioni, dagli svolgimenti sapienti e circostanziati, lo è molto meno nelle condizioni e impostazioni che eludono la sostanza retrostante dei nodi da sciogliere per salvare il Sistema Italia, nodi che non si possono surrogare a parole sia pure alla moda. Come avvenne con il piano Colao, la saggezza scomodata per venire in soccorsi della politica, difficilmente va al di là di una competente elencazione che non aiuta quanto a visione ed obiettivi proponendo al più un programma di manutenzione di un motore – quello di questa Italia – ormai prossimo o forse già irrimediabilmente fuso.

Obiettivi fondamentali, posti a monte come perequazione o coesione sistemica dei territori, sono l’ indispensabile retrostante, punti di partenza per questo ben particolare viaggio, solo così si possono legittimare in salsa green e smart, innovazione, competenze, digitalizzazione, ecc.

E andando ad un esempio concreto e non proprio elegante, è abbastanza clamoroso quello che riguarda un aspetto fondamentale delle condizionalità UE e che riesuma oggi un tentativo, non uguale nella forma ma identico nell’intenzione, allora sventato in Parlamento per il quale le risorse “additive” del PRRN da destinare al Sud sono oggi – niente meno che dal Consiglio dei Ministri – parametrate al 34%. Un inciso sapiente, rivelatore del “retrostante” in questa compagine di Governo segnata a dito come a trazione meridionale! Fatti i conti non molto difficili a chi abbia la pazienza di leggere dal paragrafo 4.1 al paragrafo 4.3, si scopre che laddove la Commissione europea assegna almeno 111 dei 209 miliardi in considerazione delle condizioni del Mezzogiorno, il Governo a trazione meridionale ne assegna 68 adottando il criterio del 34% del tutto incongruo per quelle risorse rivenienti dal Recovery Fund (che dovrebbe rispettare semmai il parametro del 53%), riservandosi di finanziare una costosissima decontribuzione per altri 31miliardi. Ma non è finita: ben 23 dei 68 miliardi “additivi” non vengono dai fondi del soccorso UE bensì da quelli nazionali del FSC per i quali potrebbe essere molto stretto se non illegittimo il mitico parametro del 34%. In definitiva al lettore interesserà sapere che i meridionali del Governo riescono a convogliare al Sud solo 35 e non i canonici 55 miliardi che logica e condizionalità ex ante prevedono. Un altro esempio, se non bastasse di quanto pericoloso sia il soccorso della “competenza” alla politica.


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