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Fondi di coesione, come utilizzarli e dove investirli. Parlamento e Consiglio UE fissano i nuovi parametri di spesa per le regioni, che sono dunque avvisate. Un bene, perché si fa chiarezza e si offre la possibilità di sapere in anticipo come muoversi ed evitare così di incorrere nel rischio di dover perdere risorse preziose per il rilancio del territorio in caso di investimenti ‘sbagliati’. Vengono introdotti tetti minimi obbligatori di utilizzo del Fondo europeo per lo sviluppo delle regioni (Fesr) in azioni a sostegno di politica verde e digitale.

Per tutte le regioni vale la soglia minima del 30% per la green economy. Nel ricco nord come nel Mezzogiorno si dovrà agire in tal senso. Diversi gli impegni per politiche a sostegno dello sviluppo digitale. Per le regioni in “transizione”, quelle con un Reddito nazionale lordo del valore compreso pari il 75% e il 100% della media europea, l’obiettivo minimo per “un’Europa più intelligente” è del 40%. Un impegno che per l’Italia riguarderà  Umbria e Sardegna, che nel periodo 2021-2027 si collocano in questa categoria di regioni. Per le regioni meno sviluppate, quelle con Rnl inferiore ai valori del 75% della media UE, si richiede un utilizzo minimo del 25% delle risorse comune per interventi in tecnologia informatica. Tutti vicoli per le regioni del Mezzogiorno.

I Fondi di coesione sono racchiusi all’interno del più ampio capitolo dei fondi strutturali. I principali contenitori per la coesione sono il Fondo europeo per lo sviluppo delle regioni (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo di coesione (FC). Le novità riguardano il fondo Fesr, di gran lunga il più grande fondo pubblico dell’Ue. Per il periodo 2021-2027 all’Italia è destinato un totale di 43,2 miliardi di euro di contributi europei per le politiche di coesione. La maggior parte di questi fondi, 26,6  miliardi  (a prezzi correnti), arrivano proprio dal Fesr.

Dunque, in totale il 30% di questi 27,4 miliardi provenienti dal fondo  europeo per lo sviluppo delle regioni  dovrà essere speso in green economy. Il resto in digitale, secondo le quote del 25% (per il sud) e del 40% (per Umbria e Sardegna).

Questi vincoli di spesa si inseriscono nella più ampia strategia per la ripresa. Per rispondere alla crisi prodotta dalla pandemia di Coronavirus, è stato deciso di affiancare il bilancio pluriennale da 1.090 miliardi di euro (Mff 2021-2027), che ricomprende i fondi di coesione e il fondo Fesr, il meccanismo per la ripresa (Next Generation Eu) da 750 miliardi di euro, comprendente il recovery fund (672 miliardi tra  prestiti e garanzie). E’ stato deciso dai capi di Stato e di governo dell’UE che il 30% delle risorse per il rilancio dell’economia debba essere utilizzato per transizione sostenibile,  e che almeno il 20% delle stesse risorse vada utilizzato per l’agenda digitale.

In sostanza si è deciso di allineare i criteri di spesa del recovery fund e del bilancio pluriennale. Anche perché le politiche di coesione riceveranno un contributo dal meccanismo per la ripresa (7,5 miliardi per lo sviluppo rurale, 10 miliardi per la transizione verde, 5,6 miliardi per gli investimenti strategici). Una volta che il governo avrà il proprio piano nazionale per la ripresa vidimato da Bruxelles e stabilito come distribuire i fondi di coesione tra le regioni, si potrà fare il punto della situazione.
Il modo in cui tutto verrà gestito a livello nazionale è cruciale, e il commissario per la Coesione, Elisa Ferreira, lo ricorda una volta di più. “Incoraggio le autorità nazionali a coinvolgere pienamente le autorità regionali e locali nonché le parti economiche e sociali in questa fase chiave”.

Adesso gli amministratori locali dovranno dimostrare di essere capaci, di avere visione e di sapere negoziare con il governo centrale. Questo vale soprattutto per le regioni del Sud, che in quanto meno sviluppate riceveranno dal fondo Fesr più soldi delle regioni del centro e del nord. Il modo in cui le Regioni e le parti interessate sapranno giocare la partire diventa fondamentale, sia nella fase di distribuzione delle risorse, sia per quanto riguarda la spesa. «C’è una preziosa opportunità per raggiungere un ampio accordo tra tutti i partner sulla strada della ripresa e per costruire la resilienza delle nostre comunità regionali su basi rinnovate e più solide», sottolinea ancora Ferreira.

Per quanto riguarda  il Fondo di coesione,  a partire dal 2021 l’Italia smetterà di beneficiarne  e dunque le modifiche introdotte  qui non interessano il sistema Paese.
Andrea Cozzolino  (PD, napoletano, eletto nella circoscrizione Sud),  membro della  commissione Affari regionali  del Parlamento europeo e  relatore del provvedimento,  è sicuro. L’accordo sulle soglie minime di spesa in digitale e sostenibilità per il fondo Fesr “permetterà di rafforzare la nostra coesione sociale e territoriale, correggendo gli squilibri tra le varie regioni europee, a partire dal nostro Mezzogiorno”. A patto che le Regioni sappiano fare la loro parte.  Qui, come sul recovery fund.

La presidenza tedesca del Consiglio dell’Ue ha trovato un accordo di principio con Ungheria e Polonia che consentirebbe  eliminare il loro  veto al bilancio e, di conseguenza, anche al meccanismo per la ripresa, collegato al budget. Il vertice dei capi di Stato e di governo di oggi e venerdì sarà il momento della verità. A quel punto potranno essere sbloccati i fondi per l’emergenza anti-COVID. L’Italia attende 65,5 miliardi di euro a fondo perduto,  da spendere nel rispetto dei criteri di sostenibilità e digitale


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