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La ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna

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I livelli essenziali di prestazioni, i Lep, sono diventati argomento centrale del dibattito sul Mezzogiorno. La ministra Mara Carfagna ha ribadito che bisogna puntare ad attuare questi livelli, che garantirebbero un comune denominatore di servizi per tutti i cittadini italiani.

I Lep sono rimasti fermi da anni a favore della spesa storica, che tanto comodo ha fatto al gruppo di sinistra con prevalenza tosco-emiliana in accordo con quello leghista destrorso lombardo-veneto, complice la conferenza delle Regioni a guida, recentemente, dopo Chiamparino, di Stefano Bonaccini.

Rispetto ai criteri attuali l’attuazione dei Lep sarebbe un grande passo in avanti, questo è chiaro a tutti. Ma cercherò di dimostrare che anche tale obiettivo, raggiungibile con grande difficoltà, e solo in caso di crescita del Pil consistente, è in ogni caso un obiettivo difficile e in ogni caso di retroguardia.

LA PARITÀ NEI DIRITTI

Faccio una tale affermazione perché è complicato, se non impossibile, dire a coloro che hanno 10 asili nido nella loro città emiliana che devono chiuderne 5 per consentire alle città calabresi di averne uno. Quindi la soluzione possibile sarebbe quella di destinare le risorse maggiori che si vanno creando a finanziare coloro che sono sotto la media, lasciando quelli sopra con i loro vantaggi, ma fermandoli, obiettivo già difficile da conseguire.  E con le risorse del Recovery Fund colmando il divario.

Ma tornando al tema della nostra riflessione bisogna capire che l’adozione dei Lep giustificherebbe il concetto di residuo fiscale regionale che invece, come detto da illustri giuristi come Sabino Cassese, è la base per mettere in discussione la Costituzione.

Se, infatti, il principio è quello che tutti i cittadini, in qualunque parte del Paese nascano, hanno gli stessi  doveri nei confronti del fisco, nel senso che devono versare le imposte in base alla loro capacità contributiva; devono rispondere per la difesa della patria, in funzione della loro età, come è avvenuto nelle due guerre mondiali, con un contributo di sangue analogo; sono sottoposti al potere giudiziario nello stesso modo, per cui chiunque commetta un reato è uguale di fronte alla legge, e hanno gli stessi diritti garantiti costituzionalmente rispetto all’elettorato attivo e passivo, non si può negare che hanno anche diritto alla stessa sanità e alla stessa formazione, oltre che alla stessa mobilità e allo stesso  diritto al lavoro.

IL CRITERIO MIGLIORE

Ma se così è, hanno anche diritto alla stessa spesa pro capite. Cioè vuol dire che chiunque, in qualunque parte del Paese nasca, ha diritto alla stessa somma di spesa pubblica. Cosa diversa rispetto a stabilire livelli essenziali che potrebbero essere più bassi, ma anche più alti, rispetto a quello che il Paese può consentirsi.    

Per esemplificare, se il livello essenziale della sanità prevede che vi sia un letto in ospedale ogni 100 abitanti, sarebbe profondamente anticostituzionale che alcune parti ne avessero 2 ogni 100 abitanti. Anche se le Regioni di riferimento avessero la possibilità di consentirselo.

Perché tale approccio ammetterebbe che non è l’individuo a essere soggetto di doveri e diritti, ma che siano le aree. Per cui, se il Veneto produce un reddito pro capite più elevato della Calabria, esso (come i governatori leghisti della Lombardia e del Veneto, ma anche quello Emiliano romagnolo, hanno richiesto con l’autonomia differenziata) ha diritto a maggiori risorse. Per fortuna tale approccio, dopo la débâcle della sanità lombarda e le differenze nelle sanità regionali, sembra essere andata in soffitta. Vi sono molti motivi, in un Paese duale come il nostro, perché il principio della spesa pro capite uguale sia l’unico possibile, al di là della Costituzione che ne è la base.

L’UNITÀ VANTAGGIOSA

Per esempio, il fatto che molte aziende nazionali hanno sede giuridica nella parte ricca, dove versano le loro imposte, ma hanno il contribuente colpito nella parte Sud, aree prevalentemente di consumo dei prodotti nazionali.

Il fatto che il Sud fornisca la base logistica di approdo dei migranti che arrivano da sud, con un servizio all’Italia e all’Europa per il quale non vengono risarciti: Lampedusa ne è esempio illuminante.

Il fatto che forniscano i loro giovani formati, costati cifre incredibili, per lo sviluppo del Paese, senza alcun rimborso. Ogni anno dal Mezzogiorno partono, per lavorare al Nord, circa 100.000 persone formate che, come calcola Svimez, al costo minimo di 200.000 euro ciascuno portano a un “regalo” che il Sud fa al Nord di 20 miliardi, superiore alle risorse che arrivano con i fondi strutturali dall’Unione, che peraltro negli anni sono stati sostitutivi di quelli ordinari.

Il fatto che arrivino i gasdotti a Gela, Marsala, la Tap in Puglia, senza che tale passaggio porti a ristori, visto che la maggior parte di tale energia viene utilizzata dal Nord del Paese. Stessa cosa avverrà con l’energia green che arriverà dall’Africa. L’inquinamento che viene sopportato per l’acciaieria di Taranto o per gli impianti di raffinazione di Gela, Priolo, Augusta o Milazzo.

Insomma, il Paese unito dà vantaggi a tutti; pensarlo, nei casi in cui conviene, come l’insieme di 20 staterelli autonomi è troppo comodo e potrebbe portare a spinte secessioniste anche dei poveri, come è avvenuto tra Repubblica Ceca e Slovacchia, in particolare in un momento come quello attuale, in cui l’ombrello europeo consente a realtà molto piccole come Malta (450.000 abitanti) o Croazia (4 milioni, meno della Sicilia), di essere Stato autonomo in un’Europa delle Nazioni.

L’OBIETTIVO PRIMARIO

Per questo il tema di fondo per eliminare le disparità tra regioni è quello di calcolare la spesa pubblica pro-capite, come ha fatto l’Agenzia per la coesione territoriale. Secondo tale fonte ci sarebbe ogni anno una differenza di importo tra Nord e Sud, rispetto a una divisione equa, di oltre 60 miliardi, il famoso scippo denunciato dal Quotidiano del Sud. 

Altri sostengono che la differenza si limiterebbe a 30 miliardi, perché essi contestano l’inserimento della spesa pensionistica e delle società della Pubblica amministrazione allargata.

Ma, al di là del calcolo sul quale si può disquisire e trovare un accordo, il principio di fondo che non può essere eluso è che ogni cittadino che nasce in Italia ha diritto a una stessa spesa pro-capite.

Che poi ognuno produca lo stesso reddito pro-capite è un obiettivo dell’unificazione economica del Paese che si spera con il Recovery Fund possa essere, se non raggiunto, poiché è estremamente complicato anche per un super-Draghi, perlomeno avviata a soluzione. Ma per tale impresa ci vuole grande coraggio, grande determinazione e una consapevolezza precisa dei numeri che mi pare oggi non ci sia nel governo, né nella comunità scientifica.


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