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Saracinesche abbassate al Sud

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Whirlpool a Napoli e l’ex Ilva a Taranto sono solo la punta dell’iceberg di una crisi economica e produttiva, amplificata a dismisura dal Covid-19 ma pre-esistente, che colpisce duro soprattutto il Sud. Una bomba sociale pronta a esplodere.

È il Mezzogiorno, con un tessuto imprenditoriale più debole, che rischia di pagare a caro prezzo l’emergenza sanitaria. Lo dicono le storie di centinaia di piccole aziende che stanno chiudendo o hanno già abbassato la saracinesca; lo confermano numeri e dati statistici.

Whirlpool e l’ex Ilva, senza dimenticare l’ex Fiat di Termini Imerese, hanno conquistato la ribalta nazionale, ma altre centinaia di imprese nel frattempo hanno dismesso la propria attività più o meno nel silenzio, è il caso della Om Carrelli a Bari (154 dipendenti).

Ma sono tante le vertenze sul tavolo del Mise o delle task force regionali: da Tessitura Salento, Gruppo Canepa, in Puglia con 117 dipendenti in bilico; alla Jabil di Marcianise (Caserta). Il declino del manifatturiero del Sud è stato accelerato dal Covid e la ripresa sarà tutta in salita. Dei tavoli aperti al Mise, circa un terzo dei casi riguarda le imprese meridionali e coinvolge 20mila lavoratori. Tutto questo in attesa di una schiarita sull’ex Ilva, il ministro Giancarlo Giorgetti, qualche giorno fa a Bari, ha annunciato che entro la fine di luglio ci sarà il nuovo piano industriale. 

E proprio in Puglia, tra dicembre 2020 e febbraio 2021, sono state fatte 16.250 assunzioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo il rapporto Excelsior di Unioncamere. Le ultime proiezioni di Excelsior Unioncamere (elaborate tra la fine di ottobre e il 2 novembre) riflettono una decrescente propensione ad assumere in Puglia. Aumentano le attività sospese e a rischio chiusura: da 510 a 740, è il 4,1% (3,6 a livello nazionale) del campione di 17.470 aziende analizzato.

La maggiore quota di aziende a rischio è nei servizi operativi a supporto delle imprese (8,3%), nel tessile, abbigliamento e calzaturiero (8,2%), nel commercio, nei servizi alle persone e nell’alloggio e ristorazione. Nelle regioni del Centro Nord, secondo un rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Banca d’Italia tra gennaio e aprile sono stati creati 90.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un crollo di oltre 170.000 unità nel 2020, ma di un saldo positivo di quasi 180.000 nel 2019; nel Mezzogiorno sono soltanto 40.000 i posti di lavoro creati, ma la tenuta parziale è dovuta quasi esclusivamente dal blocco dei licenziamenti. S

econdo il report di Bankitalia, la crisi provocata dal Covid in Puglia ha ridotto, nel 2020, del 10,2% le ore complessive lavorate e, nonostante il blocco dei licenziamenti a livello nazionale, il numero di occupati è calato di 13mila unità. Il numero di ore autorizzate di Cig è stato particolarmente elevato durante i mesi di aprile e maggio e si è poi ridotto nei mesi estivi. Tenendo conto del numero di ore mediamente lavorate nei settori produttivi, si tratta di circa 110.000 occupati equivalenti, pari a poco meno di un decimo del totale degli occupati in regione. Secondo uno studio recente di Svimez, sono allarmanti le conseguenze economiche della pandemia nell’Italia centrale e meridionale. 

Un Centro Italia sempre più vicino al Sud nella gravità della situazione economica delle sue imprese. Infatti, sono 17.500 le imprese del Centro a rischio di chiusura, mentre al Sud se ne contano 20.000 nella stessa condizione. Si tratta principalmente di imprese di servizi in crisi, con una percentuale doppia rispetto alle imprese manufatturiere (9%). La fragilità strutturale delle imprese a rischio chiusura dipenderebbe da una scarsa propensione all’innovazione e alla digitalizzazione. Il 48% delle imprese italiane è fragile perché non innovative e non digitalizzate.  

Al Sud arrivano al 55%, quasi il 50% al Centro. Un Mezzogiorno fragile non solo nel tessuto imprenditoriale ma anche a livello pubblico: è, infatti, al Sud che si concentra il maggior numero di Comuni che ha dichiarato “fallimento”. I dissesti attivi, deliberati tra il 2016 e il 2020 sono 154, con una significativa concentrazione territoriali in Calabria (42 casi), Campania (35 casi) e Sicilia (40 casi). I rimanenti 37 casi si rilevano: nel Lazio (11), in Puglia (6), in Basilicata (4), in Abruzzo (3), in Lombardia (3), nel Molise (3), nelle Marche (2), in Piemonte (2) e, infine, un caso in Liguria (Lavagna), uno in Toscana (Massarosa) e uno in Umbria (Terni). Nel 2019, il debito pro-capite dei Comuni è molto più elevato al Sud rispetto al resto d’Italia. La Campania è quella messa peggio, con un debito per abitante pari a 2.206 euro, il più alto del Paese. Ma la Calabria non può certo sorridere: il debito pro-capite accumulato dai Comuni è di 2.159 euro.


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