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L'interporto di Bari

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Nell’arco di appena venti anni sono cambiati integralmente i processi logistici, le logiche legate alla produzione, e, soprattutto, le forme di distribuzione dei prodotti.

Forse se non ci fosse stato un accordo sottoscritto tra i gestori degli interporti e quelli preposti alla gestione dei mercati all’ingrosso sicuramente non avremmo capito cosa sia questa tessera del sistema economico non di un ambito limitato ma dell’intero Paese; ultimamente Marco Marino ci ha raccontato questo grande evento ed in particolare ci ha fornito una serie di dati e di informazioni che penso denuncino da soli quanto sia determinante questo segmento della produzione e della logistica per la crescita del Prodotto Interno Lordo.

Intanto il nostro Paese dispone di 24 interporti al cui interno si movimentano annualmente oltre 65 milioni di tonnellate di merci del comparto agroalimentare; una rete che dispone di 5 milioni di metri quadrati di magazzini ed effettua 50 mila treni intermodali all’anno.

A questi nodi intermodali si contrappongono i mercati agroalimentari all’ingrosso più importanti d’Italia; 17 centri di distribuzione che movimentano 5 milioni di tonnellate di merce l’anno tra ortofrutta, prodotti ittici, carne e dove lavorano oltre 23 mila addetti.

Ebbene, con l’accordo sottoscritto da questi due mondi, uno della produzione ed uno della logistica, prende corpo una storica alleanza; in tal modo infatti si dà piena e misurabile concretezza all’obiettivo di contribuire al miglioramento della competitività del sistema produttivo e logistico nazionale, sia per i trasporti di prodotti alimentari freschi sulla lunga distanza sia nella logistica dell’ultimo miglio riducendo sprechi e inefficienze.

Purtroppo oggi il trasporto di merci su strada continua ad essere preferito rispetto alle altre modalità di trasporto anche per la catena logistica agroalimentare data la deperibilità dei prodotti. Questo accordo potrebbe convincere un numero di operatori ad affidarsi al treno.

Ma preso atto di questi dati e di questo storico impegno reciproco di due mondi che devono necessariamente essere sempre più fra loro integrati ed interagenti, ci chiediamo chi garantirà nei prossimi anni delle condizioni essenziali perché tale organica collaborazione, tale rapporto tra impianti fissi (interporti, piastre logistiche, centri di distribuzione, ecc.) e organizzazioni dinamiche come coloro che danno vita ai mercati all’ingrosso, non soffra una quasi obbligata crisi di crescita; una crisi di crescita che oltre all’aumento della domanda dovrà anche subire quella legata alla saturazione o alla non adeguatezza delle reti stradali e ferroviarie.

Ho parlato a ragione di crisi di crescita perché proprio in questo periodo caratterizzato dalla pandemia, abbiamo potuto scoprire la forte ed obbligata incidenza, all’interno del vasto comparto dei consumi, della filiera legata ai prodotti agro alimentari e se entriamo nel merito dell’intero ciclo, se entriamo nel merito della storia che caratterizza l’intero iter che il prodotto agro alimentare deve seguire dal momento in cui viene preso dalla pianta alla fase in cui viene manipolato e avviato attraverso adeguato packaging ai mercati, scopriamo quanto ci sia ancora da fare per incrementare in modo sostanziale l’attuale esiguo valore aggiunto.

Questo approfondimento ci porta, ripeto, a scoprire la dimensione e la rilevanza strategica di tali attività ma, al tempo stesso, ci pone di fronte ad una scontata evoluzione e ad un aumento dei consumi ed automaticamente ci porta ad una obbligata considerazione, ad un obbligato interrogativo: quale ruolo svolge il Mezzogiorno e quale rischio alla luce di una crescita del comparto corre sempre il Mezzogiorno?

Intanto se effettuiamo una lettura dell’Unione Interporti Riuniti (UIR), cioè dell’associazione nazionale dei soggetti gestori delle infrastrutture logistiche italiane scopriamo che l’associazione, oggi utilizza i seguenti 24 siti logistici.

Scopriamo che nel Mezzogiorno ci sono solo cinque siti. Se analizziamo i cinque siti ci rendiamo conto che trattasi di impianti del tutto scollegati dalle reti o collegati solo parzialmente. Scopriamo che nella maggior parte dei casi il valore aggiunto prodotto dalla movimentazione e dalla manipolazione delle merci e quindi dalle attività strettamente logistiche è fatta da operatori non locali.

Eppure, e qui prende corpo uno dei grandi paradossi del Mezzogiorno, oltre il 50% della produzione agro alimentare avviene proprio nel Sud del Paese. Questo dato da solo denuncia da un lato il danno sistematico che annualmente si arreca a coloro che garantiscono la produzione e la logistica della loro produzione e dall’altro quanto questo pesi sulla competitività del settore agro alimentare del Mezzogiorno e dell’intero Paese.

È chiaro che questa mia banale constatazione è nota da sempre ed è al tempo stesso chiaro che una grande responsabilità ricada nello Stato ed in modo particolare nelle amministrazioni regionali. Anche in questo caso lo strumento dei Piani Operativi Regionali (POR) se invece di essere gestito in modo frantumato, cioè assegnando alle singole Regioni quote percentuali, si fossero identificati progetti organici a vantaggio di tutte le realtà del Sud sicuramente avremmo avuto oggi una offerta infrastrutturale più coerente alle esigenze di un comparto, quello agro alimentare, che rappresenta uno dei volani chiave della crescita del Mezzogiorno e, soprattutto, avremmo evitato di “non spendere” le risorse messe a disposizione dalla Unione Europea.

Lo ricordo sempre perché penso sia utile non dimenticarlo: dei 54 miliardi del Fondo Coesione e Sviluppo 2014 – 2020 abbiamo speso solo 3.800 milioni. Per questo motivo sarebbe opportuno che le risorse ancora non impegnate di quel Fondo di Coesione e Sviluppo pari a circa 30 miliardi di euro da spendere entro e non oltre il 31 dicembre del 2023 siano, per una quota almeno del 30%, assegnate per dare attuazione ad una serie di interventi sia sule reti che sui nodi interessati proprio dai flussi legati alla filiera agro alimentare. Questo volano di risorse, d’altra parte, sarebbe complementare a quanto previsto già nel Recovery Plan proprio per incrementare la funzionalità dell’intero sistema logistico in particolare quello che relativo alle interazioni con i sistemi portuali.


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