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Andrea Orlando

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«L’obiettivo ufficiale è assorbire gli effetti della crisi aperta dalla pandemia e assecondare la transizione produttiva che ci aspetta, facilitando la riqualificazione e il reinserimento dei lavoratori espulsi. La direzione imboccata però è tutt’altra: mettere in piedi – ha scritto Alessandro Barbano in un articolo su Huffington Post a commento delle proposte di riforma degli ammortizzatori sociali presentate dal ministro Andrea Orlando alle parti sociali – una nuova gigantesca macchina di sussidi pubblici, che cristallizzi la crisi e la carichi sulle spalle del bilancio dello Stato, cioè sul debito che pagheranno i figli e i nipoti. Il ritorno per la politica è ancora una volta la fidelizzazione del consenso, al prezzo di otto-nove miliardi di euro all’anno. Sarebbe il reddito di cittadinanza bis, una potente leva di diritti sociali, stavolta nelle mani del Pd, capace di recuperare la fiducia perduta dei ceti popolari e di rinsaldare il collateralismo sindacale».

MANTENIMENTO DEI POSTI

È certamente un giudizio pesante, ma coraggioso e corretto, perché le linee generali del documento (6 pagine) del ministro del Lavoro sono un prodotto della medesima logica che ha determinato il blocco di 500 giorni dei licenziamenti. Anzi – è un limite che non va imputato solo ad Orlando – tutto il dibattito che ha accompagnato il “che fare?’’ degli ammortizzatori sociali – dal governo Conte 2 in poi, pronuba il ministro Nunzia Catalfo – è stato caratterizzato da un unico obiettivo: come difendere i posti di lavoro quando (a fine anno?) saranno superati (?) i vincoli residui del divieto di licenziamento su tutto lo scacchiere del mercato del lavoro.

Così la funzione degli ammortizzatori sociali è rivolta a mantenere il più a lungo possibile i lavoratori in esubero legati da un rapporto giuridico ormai spento nella realtà dell’azienda di appartenenza, piuttosto che attivare gli strumenti e le risorse per ricollocare coloro che quel posto di lavoro lo hanno già perduto, perché la crisi, i processi di ristrutturazione e di riconversione, i salti nelle tecnologie hanno voluto così.

IL NODO CIG

Il punto cruciale sta nelle modifiche proposte per la cassa integrazione di cui vengono dilatati in una logica conservativa gli interventi nelle loro particolari finalità. In primo luogo – universalità quanti delitti in tuo nome! – il diritto di accedere alla Cig viene riconosciuto a tutti i settori e a tutte le aziende, qualunque sia il numero dei dipendenti.

Eppure basterebbe porsi una banale domanda: ha un senso logico e pratico rendere strutturale un assetto di tutele divenuto necessario in un momento di drammatica straordinarietà come la crisi da Covid-19? È opportuno essere previdenti. Ma sembrerebbe più ragionevole avvalersi, nel momento del bisogno, della flessibilità della Cig in deroga (che Orlando vorrebbe invece abolire) piuttosto che mettere in cascina (con l’estensione a tutti i lavoratori dipendenti degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto) del fieno (risorse finanziarie) che potrebbe non servire.

Poi sono previste misure che denotano una vera e propria invasione di campo degli strumenti di protezione in costanza di rapporto di lavoro (appunto la cig) in quelli che intervengono a rapporto di lavoro cessato (Naspi, ecc.).

A segnalare questo straripamento sono le due nuove causali: prospettata cessazione dell’attività e liquidazione giudiziaria. Il trattamento di cassa integrazione straordinaria può essere chiesto anche per processi di transizione (prospettata cessazione dell’attività) da parte di Pmi con meno di 15 dipendenti. Mentre le causali classiche della Cigs (riorganizzazione, ristrutturazione, riconversione dell’azienda) presuppongono un’impresa che avvii processi di cambiamento e risanamento, alla fine dei quali essa rimane sul mercato con la medesima identità (e quindi si giustifica la continuità del rapporto di lavoro attraverso l’intervento straordinario per quei dipendenti che non dovessero finire in esubero), nelle due nuove causali si ha a che fare con una fase di transito verso la una cessazione ormai accertata dell’attività.

Più pratiche sono state le riserve espresse dai rappresentanti delle micro imprese e di quei settori del terziario che finora in caso di emergenza hanno potuto contare sulle coperture assicurate dalla fiscalità generale con la cassa in deroga e che con la riforma saranno chiamate gradualmente ad autofinanziarsi gli ammortizzatori. A questo proposito, per addolcire la pillola, è intenzione del ministro Orlando di mettere a carico del bilancio dello Stato il finanziamento dei primi due anni al costo di oltre un miliardo l’anno.

LA NASPI

Cessato il rapporto di lavoro è previsto un rafforzamento della Naspi, una misura che sembra destinata prevalentemente alla garanzia di un reddito dopo aver fatto tutto il possibile per mantenere i lavoratori collegati all’impresa di appartenenza. Quasi come presa d’atto del fallimento del nucleo centrale delle politiche del lavoro: quello di avviare i processi di riconversione e formazione professionale prima di risolvere i rapporti di lavoro; il che al riparo della cig per prospettata cessazione dell’attività e avvalendosi del programma Gol (garanzia occupabilità nel lavoro).

LANDINI

A conclusione della video conferenza del 9 agosto, Maurizio Landini, al suo solito, “ha dato la linea’’: «Per la Cgil – ha detto – non si può arretrare dall’obiettivo minimo della riforma, quello di includere tutti i lavoratori dipendenti e di garantire loro prestazioni a carattere universale e soprattutto fare un intervento che ampli le protezioni a tutti i lavoratori, anche gli autonomi, che ne sono stati esclusi, rafforzando le misure per tutti, in primis cassa ordinaria e straordinaria e contratti di solidarietà, decisivi per proteggere il lavoro nella trasformazione. Gli ammortizzatori (ecco il clou del problema, ndr) devono essere la strada da scegliere prima di aprire procedure di riduzione del personale. Questo il punto del disegno di riforma su cui non sono accettabili i tentennamenti che abbiamo ascoltato».

LE PAROLE DI DRAGHI

Chi ancora ricorda le dichiarazioni di Mario Draghi nel discorso sulla fiducia si domanderà che fine hanno fatto nel documento Orlando. «Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative – disse il premier – è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma nazionale di ripresa e resilienza ma andrà anticipato da subito».


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