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Multe leggere ai colossi internazionali che delocalizzano. Così i maggiori quotidiani hanno intitolato la notizia dell’adozione della norma che cerca di evitare che le aziende multinazionali locali o estere vadano via dal nostro Paese.

A me pare che vogliamo chiudere la falla di una diga che si è bucata mettendoci un dito. Ovviamente non otterremo alcun risultato, si accontenteranno la Cgil, magari anche Leu, parte dei Cinque Stelle e del Pd, le ali più ideologizzate di questi raggruppamenti, ma gli effetti saranno più o meno nulli.

Perché per tenere le aziende in Italia o attrarne di nuove ci vuole ben altro che una norma ed una multa. Ci vogliono condizioni di sistema serie a partire da quelle relative alla infrastrutturazione del territorio, la sua raggiungibilità, via ferrovia, strada, aria e mare in modo veloce. Ma anche un ottimo controllo della criminalità organizzata. Probabilmente la sussistenza di tali condizioni era stata superata dalle aziende che si sono localizzate al momento dell’insediamento e sono più importanti per chi deve decidere di insediarsi. Invece i motivi per i quali si decide di abbandonare un territorio sono fondamentalmente il costo del lavoro più basso e la tassazione degli utili di impresa altrove, oltreché una semplificazione amministrativa che consenta in caso di ampliamento di non perdere anni in attesa di un’autorizzazione. Come l’efficienza della magistratura, civile e penale, che dia risposte certe in tempi adeguati. Anche la possibilità che nel caso di controversie con il lavoratore si possa arrivare ad una decisione in tempi umani è importante; cioè un sistema complessivo che diventi accogliente per un’impresa o invece diventi respingente.

Quindi il tema al di là del contentino dato ad alcuni raggruppamenti è quello di capire come far diventare il nostro territorio attrattivo per gli investimenti nuovi che dovessero avere l’esigenza di trovare un Paese dove insediarsi, favorevole all’impresa già localizzata. Le Zes avevano proprio lo scopo di fare in modo che alcuni territori limitati potessero costituire aree di attrazione di investimenti diretti esteri. In particolare nel Mezzogiorno nel quale è impensabile che lo sviluppo possa essere effettuato senza l’apporto del capitale privato.

Oggi tutto questo non è ancora realizzato. Ed è molto più facile per chi voglia investire realizzare stabilimenti nell’Est europeo o nelle Zes polacche, nelle quali nel giro di due mesi si riescono ad avere autorizzazioni chiavi in mano per poter investire, in un momento in cui il tempo che passa dal momento in cui l’imprenditore decide al momento in cui deve e può realizzare deve essere estremamente contenuto, in un mondo globalizzato che va ad una velocità estrema, nel quale ogni ritardo può rendere l’iniziativa non più economicamente valida. Questo è il vero passaggio che bisogna superare piuttosto che inseguire con normative penalizzanti coloro che non trovano più il nostro Paese interessante per produrre e fare utili. E per noi diventare attrattivi diventa molto più importante che per coloro che sono già a sviluppo compiuto. Perché costoro possono occuparsi anche soltanto di far rimanere chi è già insediato. Mentre noi, soprattutto nel Mezzogiorno, dobbiamo occuparci di attrarre nuovi investimenti, perché solo così possono essere creati quei 3 milioni di posti di lavoro che servono per arrivare ad un rapporto fisiologico tra occupati e popolazione complessiva ed evitare che il territorio continui in quel processo di desertificazione già avviato, e che porta 100.000 persone ogni anno a fuggire dai territori del Sud, con un costo per il territorio di 20 miliardi di euro.

E questo processo di attrazione deve avvenire non sono nel manifatturiero, ma anche nel settore turistico, che con i suoi 80 milioni di presenze, in era non Covid, riesce a mettere insieme dati talmente contenuti che possono paragonarsi a quelli di una sola regione come il Veneto. O poco più consistenti di quelli di un’altra regione come l’Emilia-Romagna. Rendere attrattivi i territori, consentire che la struttura turistica alberghiera possa essere incrementata adeguatamente, è una problematica che va risolta attraverso la convenienza complessiva ad insediarsi. Della quale certamente fa parte la possibilità di avere autorizzazioni in tempi brevi. E tale aspetto riguarda anche la logistica dove il tema della semplificazione è uno dei nuclei da affrontare per consentire l’attrattività dei territori.

Se invece di occuparsi, sotto la pressione di chi vuole mummificare un territorio e che dimentica che le aziende come l’uomo nascono crescono e muoiono, di bloccare coloro che trovano in altri paesi e in altri territori convenienze che noi non riusciamo a dare ci occupassimo delle tante problematiche che fanno sì che gli imprenditori scappino dal nostro Paese faremmo un’operazione meritoria. Ma la nostra realtà si è sempre occupata di difendere l’esistente, sia nel mondo del lavoro proteggendo gli occupati ed i pensionati, e molto meno di coloro che sono fuori dal mercato del lavoro, come per il patrimonio edilizio che si mantiene anche quando non ha alcun valore storico con la testa rivolta all’esistente ed al passato piuttosto che ad una proiezione sul futuro ed al cambiamento. E’ un cambio di paradigma quello che serve, che non è facile ottenere in una realtà nella quale pesano i 2000 anni di storia, che non bisogna dimenticare però che danno quello spessore culturale che le realtà più nuove non riescono ad avere.

Senza voler stravolgere quello che già è sedimentato non possiamo però non aprirci al nuovo, che prevede anche la messa a regime del 40% del territorio e del 33% della popolazione. Una visione nuova che deve trovare nel Mediterraneo la sua ragion d’essere, nei porti più a sud come Gioia Tauro ed Augusta il futuro, non rimanendo legati solo a Genova e Trieste, che peraltro hanno possibilità di ampliamento estremamente contenute.

Cambiare prospettiva e capire che invece di guardare al Nord, a diventare fornitori terzi della Baviera, bisogna guardare al Sud, a quel continente africano che diventerà nei prossimi anni il centro dello sviluppo mondiale, è un’operazione che non può più essere ritardata. Se riusciremo a fare questo piuttosto che con miserabile miopia difendere l’esistente quando probabilmente è già morto avremmo fatto un’operazione di cambiamento estremamente importante per il nostro Paese.


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