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La richiesta del presidente Mario Draghi ai ministri è perentoria: visto che entro giugno devono arrivare altri 24 miliardi dal Pnrr e per incassarli ci sono da realizzare 45 obiettivi, tra progetti e riforme, bisogna correre. Quindi esaurita la sbornia quirinalizia, per fortuna senza i danni che si sarebbero verificati se fossero cambiati gli equilibri tra Quirinale e Chigi, per oggi Draghi chiede ad ogni ministro lo stato preciso dei lavori.

Cosa manca, cosa serve per concluderli. Un approccio totalmente diverso rispetto a chi fa politica e privilegia, piuttosto che la sedia sulla quale stare a lavorare, incontri, talk show e mediazioni.

L’approccio invece è quello aziendale: obiettivi, tempi, risultati. Questa nuova fase ha un nuovo approccio basato sulla concretezza del lavoro e non su strategie ed esigenze elettorali.

Ma il vero tema è quello della semplificazione burocratica amministrativa. Il problema di fondo che riguarda tutte le opere pubbliche è quello del superamento delle decine di autorizzazioni che servono per avviare e completare un investimento.

L’immagine delle nostre città bloccate da lavori che non giungono mai a compimento ci è familiare. Ma anche strade il cui completamento dura anni e che non riescono a vedere mai la fine dei lavori.

Sembra che non importi la durata di un lavoro e che sia solo importante che un’opera si inizi. Anche i sindaci spesso si preoccupano soltanto di recuperare i finanziamenti e non sembra sia loro compito quello di controllare che i lavori vengano svolti in tempi umani.

Mentre le strade coinvolte vengono bloccate per anni e le attività commerciali che su esse si svolgono hanno il tempo di fallire nella indifferenza di tutti. Per questo quando un’opera ha ricevuto tutte le autorizzazioni come è accaduto per il ponte sullo stretto di Messina è ingenuo bloccarla e ricominciare da capo con l’obiettivo di migliorare il progetto, perché questo significa in un Paese come l’Italia rinviarla per decine di anni.

L’esperienza di confrontarsi con la pubblica amministrazione e con tutte le autorizzazioni necessarie per qualunque tipo di opera è comune a molti. E probabilmente la macchina burocratica è il motivo per cui il nostro Paese si è bloccato e non riesce ad esprimere tutta la sua capacità innovativa.

Per questo l’opera più importante che il governo di Mario Draghi si trova a dover compiere è quella della semplificazione amministrativa. E chiaro a tutti che molte delle regole, delle autorizzazioni e dei controlli tendono a far sì che le risorse pubbliche possano essere spese nel miglior modo possibile e che non vi siano spazi per malversazioni. Ma non bisogna dimenticare che il peggior servizio che si può fare allo Stato ed ai cittadini riguarda proprio il fatto che le risorse rimangano bloccate e che le opere non vengono fatte.

Per questo l’esempio del ponte di Genova diventa illuminante sulla necessità che la semplificazione sia massima che i controlli siano effettuati non preventivamente ma successivamente, in maniera che intanto le opere partano e magari possano essere concluse.

Se ci sarà qualcuno che avrà rubato o che avrà agito male ci sarà tempo per perseguirlo.

Come sappiamo, il nostro Paese può avere, fino al 2026, oltre 190 miliardi di aiuti. Tra prestiti e sovvenzioni, si tratta della fetta più grande concessa a un Paese dell’Unione, ed è stata data in funzione di tre parametri, il reddito pro capite, il tasso di disoccupazione e la popolazione complessiva. Per questo risorse maggiori, di quanto in termini di abitanti il Mezzogiorno conta, saranno destinate al Sud. Perché il “merito” di tali importi è stato della debolezza di tale area. Realtà dove le problematiche sono più complesse, la burocrazia più lenta, la criminalità organizzata più presente e pronta a mettere le mani su tutte le opere programmate, oltreché la macchina amministrativa è meno efficace ed efficiente.

Ma questi soldi ci vengono dati in tranche e solo se facciamo i compiti a casa ed il rischio che si possano perdere è enorme.

Con doppio danno, quello di perdere le risorse che è gravissimo, ma altrettanto grave è quello di non avere le opere pubbliche perché si possa compiere quella unificazione economica che si aspetta da centosessant’anni.

Per questo bisogna occuparsi certamente che la progettazione vada avanti velocemente e che quindi i ministri svolgano il loro compito nei tempi previsti. Ma non dimenticando che la vera scommessa sarà quella di fare in modo che non vi siano blocchi e che si monitorizzi l’andamento delle opere perché non possa accadere che per motivi più vari si possano fermare.

Peraltro non si tratta solo di spendere le risorse, ci sono anche le riforme. Nel calendario del 2022 ce ne sono 66 e se non si fanno si rischia la bocciatura di Bruxelles. Entro giugno, per esempio, si devono attuare le nuove regole per il pubblico impiego, quelle per la carriera degli insegnanti e il codice degli appalti. E poi c’è da completare il riordino della Giustizia, del sistema fiscale, così come attendono il disco verde concorrenza e pensioni. Un grande lavoro che prevede ritmi e controllo degli step lontani dalle esigenze della politica, che dovrà forse per qualche mese fare dei passi indietro rispetto alle proprie priorità.


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