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Roberto Cingolani, ministro per la Transizione ecologica

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Bastano le parole di Roberto Cingolani, ministro per la Transizione ecologica, per dare la misura del peso e delle ricadute dell’impennata dei prezzi energetici sul sistema economico, e del rischio che rappresenta per la “tenuta” della ripresa. «L’aumento del costo dell’energia rischia di avere un costo totale l’anno prossimo superiore all’intero pacchetto del Pnrr.

Quindi non è che il Pnrr ci ha messo al sicuro da tutto», ha affermato intervenendo a Genova, nel corso di una tappa di “Italia Domani” – I Dialoghi sul Piano di Ripresa e Resilienza. Parole che danno anche la dimensione, enorme, di un fenomeno che ha una portata internazionale, chiama in causa questioni geopolitiche, e che come tale richiede una strategia di intervento europea. Lo ha sottolineato ieri anche il titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti, sottolineando la necessità di «interventi comuni Ue e in un’ottica di lungo periodo».

I “danni” sono diffusi e a intensità anche variabile: il rincaro delle bollette sta mettendo in ginocchio le imprese energivore, ma gli effetti “collaterali” si registrano nei conti di tutte le attività – dai trasporti all’artigianato, al commercio – degli ospedali, dei Comuni e delle famiglie.

Il governo è già intervenuto con misure per circa 11 miliardi tra lo scorso anno e il primo trimestre 2022. Il premier Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, per il momento resistono al pressing dei partiti che continuano a sollecitare un nuovo scostamento di bilancio – che tra l’altro richiederebbe il via libera della Commissione europea oltre che del Parlamento – ma starebbero valutando nuove misure che tengano conto dell’effettivo impatto dei rincari su imprese e famiglie, con un occhio a quelle più in difficoltà e già fragili. L’attenzione del governo resta alta, anche di fronte ai rischi che l’impennata dei prezzi energetici pone sul cammino della ripresa.

«Se i prezzi con i rincari rimangono a questi livelli, quest’anno, l’impatto sul Pil dovrebbe essere di circa il -0,8%», ha sostenuto il direttore del Centro studi di Confindustria, Alessandro Fontana, nel corso di un convegno organizzato dall’associazione. Laddove «i prezzi di alcune commodity hanno seguito il rialzo del petrolio e la risalita della domanda, via speculazione finanziaria, i prezzi dovrebbero stabilizzarsi e calare nel 2022», si è sostenuto, ma «in vari mercati potrebbero rimanere elevati perché i rincari sono causati da una effettiva scarsità di offerta, non solo dalla correlazione con il petrolio». «I future ci dicono che il prezzo del gas sembra tornare a livelli normali dopo il 2023 – ha aggiunto -, ma è da vedere se verranno risolti i nodi geopolitici con la Russia, da cui proviene quasi metà del gas per la Ue». Per la manifattura italiana i prezzi alle stelle di luce e gas hanno portato i costi da 8 miliardi circa nel 2019, a 21 nel 2021 e a 37 nel 2022. L’associazione ha quindi chiesto al governo di metter mano a una politica energetica strutturale per il Paese, e intanto, insieme alla maggioranza, «di farsi carico politicamente di venire incontro alle imprese, perché altrimenti o queste saltano per aria o si scarica tutto al consumo e alla fine pagano i cittadini o in quanto lavoratori o in quanto consumatori: non ci sono altre strade».

Non c’è solo la grande industria: per le piccole e medie imprese Unioncamere e Bmti, con il supporto di Ref Ricerche, stimano una spesa maggiore per luce e gas del 42% nel primo trimestre del 2022 rispetto allo scorso trimestre. Rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, la spesa per la fornitura di energia elettrica nei primi tre mesi del 2022 risulta cresciuta in media del +70% mentre le forniture di gas naturale sono aumentate del +105%. Nello specifico, tra i differenti profili tipo di impresa analizzati, per quanto riguarda l’energia elettrica gli aumenti oscillano tra il +48% per l’ortofrutta e il +93% per il negozio di beni non alimentari rispetto al I trimestre 2021, mentre per la spesa di gas naturale gli aumenti vanno dal +101% per l’ortofrutta al +109% per il ristorante.

Poi ci sono gli ospedali: il Servizio sanitario nazionale destina alla spesa per l’energia 1 miliardo e 402 milioni di euro, 786 milioni e 544mila euro per l’energia elettrica e 615 milioni e 630mila euro per il riscaldamento (dati 2019). I rincari rischiano di mettere ulteriormente in difficoltà un sistema ancora alle prese con la pandemia e si prepara ad affrontare la fase post emergenziale, ha sottolineato la Fiaso, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere, che con una lettera ai ministri dell’Economia Franco e della Salute Speranza ha sollecitato uno stanziamento di 500 milioni di euro per sostenere le aziende sanitarie pubbliche nel far fronte all’incremento dei costi energetici.


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