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Inflazione al 6,7%, ma sembra un valore più percepito che reale. I prodotti energetici viaggiano su prezzi stellari e tra gli alimentari sono pochi quelli che si mantengono entro la media del 6,7%. Secondo l’ultima lista stilata dalla Coldiretti se i gelati si fermano al +6,2%, l’olio di semi ha sfondato la crescita del 23%. È allarme per la verdura fresca, con ricarichi sullo scaffale del 17,8%, tallonata dal burro (17,4%). Rialzi a due cifre anche per pasta (13%) e farina (10%). Ma non va meglio per la frutta (+8%), la carne di pollo (+8,4%) e il pesce fresco (+7,6%). Si tratta di beni di prima necessità basilari sulle tavole degli italiani e piatti forti della Dieta Mediterranea.

Discorso a parte per il pane che, secondo i dati Coldiretti, cresce del 5,8%, anche se dal campo alla tavola il ricarico è di ben 13 volte. E in un mese, sostiene Assoutenti, sulla base di elaborazioni di dati del ministero dello Sviluppo economico, il pane è “lievitato” del 10%, la pasta del 15,6%, anche se con andamenti differenziati nelle diverse regioni. È la Calabria la regione dove la pasta è più salata (+15,6% a Catanzaro, +13% a Reggio Calabria e +12,5% a Cosenza), mentre Terni, con un balzo del 9,9%, conquista la leadership per la pagnotta più cara. A pesare non solo la carenza di materie prime (l’Italia importa più del 60% del grano tenero per produrre pane), ma l’incidenza della bolletta energetica e la speculazione.

Per la pasta, nonostante l’approvvigionamento interno superi il 60%, le tensioni sono forti, anche perché i prezzi si formano nelle borse di Chicago e Parigi e risentono della situazione di incertezza degli scambi globali. A guidare gli aumenti sono comunque i carburanti che si riflettono sui costi produttivi e pesano molto sui trasporti. E il cocktail velenoso è servito.

La tendenza poi di tenere stretti i cordoni delle esportazioni aggiunge tensioni su tensioni. Se infatti la mossa dell’Ungheria di fermare le vendite è stata bloccata, altri Paesi stanno riducendo i flussi e così le quotazioni continuano a gonfiarsi. E tutto si scarica nelle tasche dei consumatori. Che fanno fatica a far quadrare i conti, non possono permettersi altri acquisti e ritengono le spese troppo elevate: è quanto emerge da un ‘indagine dell’Ipsos per Federdistribuzione che sottolinea come il sentiment che domini questo periodo sia l’ insoddisfazione per la propria situazione economia. E a pesare sono le prospettive.

Tra gli aumenti attesi al primo posto ci sono energia e gas (81%), al secondo i prodotti alimentari (63%). Per ridurre l’impatto sui prezzi si punta dunque a porre più attenzione agli sprechi, a trovare soluzioni più economiche e a sostituire i prodotti con quelli meno costosi. Anche a scapito della qualità.

Il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, chiarisce che sui prezzi si sta assistendo a un proliferare di fake news e dunque, a suo avviso, l’inflazione “vera” è quella Istat che si fonda sulla rilevazione mensile di 500mila prezzi. E sottolinea che i ¾ del 6,7% sono determinati dai listini dei prodotti energetici. Senza gas e benzina – afferma Bella – l’indice si attesterebbe sul 2,5% e comunque “non è poco, ma la preoccupazione maggiore è per il futuro prossimo”.

E non tutto dipende dalla guerra. Per la pasta, secondo il direttore del Centro studi di Confcommercio, a febbraio l’aumento dei prezzi si attestava all’11,4%, a marzo +20%, ora “solo” +13%. Il fenomeno inflazionistico che tracima dall’import al consumo, non si esaurirà comunque con il calo dei prezzi delle materie prime, ma si allungherà minimo per altri tre mesi dopo la stabilizzazione dei mercati. Il grande problema, evidenziato da Bella, è l’impatto dell’esplosione della bolletta energetica (+82,4%) che comporterà in media per ogni famiglia un aumento dei costi di 1.200 euro solo per le luce e gas. Si tratta di soldi che inevitabilmente devono essere sottratti ad altri consumi, dai vestiti alle calzature, dai ristoranti agli elettrodomestici, i cosiddetti “beni liberi”. E sulla spesa alimentare ci sono i primi segnali di calo nella scelta di prodotti di eccellenza.

Si sceglie in base al prezzo e non sulla spinta di motivazioni personali. Fino a oggi, secondo Bella, tutta la filiera agroalimentare ha assorbito il caro prezzi evitando di ribaltarlo al consumo. Ma se il margine diventa negativo è fisiologico un rallentamento produttivo e poi nella situazione più critica la chiusura delle attività.

Non tutti i settori sono comunque colpiti allo stesso modo. Un quadro che come, sottolinea uno studio della Cgia di Mestre, si sta riflettendo sui debiti delle famiglie italiane. “L’indebitamento maggiore è al Nord, ma nel Mezzogiorno nonostante la situazione sia meno critica che nel resto del Paese, il peso dell’indebitamento delle famiglie più povere è sicuramente maggiore che altrove”. L’incidenza dei debiti pesa così sulle famiglie più deboli, a rischio di povertà ed esclusione sociale.

La storia delle crisi dal 2008, d’altra parte, secondo la Cgia, evidenzia come gli choc economici abbiano allargato il divario tra poveri e ricchi. Per molte famiglie il futuro è incerto: agricoltori, commercianti, artigiani e partite Iva rischiano di pagare due volte il caro energia, come cittadini e come imprenditori autonomi. Una situazione che per molte attività sta diventando impossibile da sostenere e che rischia di allargare il business degli usurai.

Se i prezzi per le famiglie corrono, spinte dal caro energia e dalla guerra, l’aumento dei costi colpisce duramente – incalza la Coldiretti – l’intera filiera agroalimentare, con i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori che non riescono ormai neanche a coprire i costi di produzione. Più di 1 azienda agricola su 10 è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben il 30% si trova comunque costretto in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione. Ma se la produzione tende a rarefarsi, la minore offerta provocherà un ulteriore incremento dei prezzi innescando una spirale perversa che potrebbe davvero mettere al tappeto l’economia nazionale.

Senza una robusta iniezione di risorse e fiducia difficilmente si potrà replicare il +6,1% del pil inaspettatamente messo a segno nel 2021. Spinto anche dal Pnrr e sostenuto dal rilancio dell’edilizia. Ora però i cantieri rischiano il collasso stretti nella morsa dell’impennata dei prezzi delle materie prime, molte delle quali arrivano dalla Russia. E senza i grandi lavori, molti dei quali interessano il Mezzogiorno, l’Italia perderà la sua grande occasione di ammodernamento e sviluppo con il rischio di scivolare in coda nella lista dei big.


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