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Processo di rigassificazione

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In un Paese dipendente energeticamente dal gas come l’Italia, sarebbe di fondamentale importanza disporre di rigassificatori e impianti di stoccaggio di gas naturale liquefatto per potersi affrancare dal gas russo che oggi sfiora il 40% dell’import complessivo di metano.

Più facile a dirsi che a farsi, specialmente se si guarda al Sud, dove i progetti per i rigassificatori di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e Porto Empedocle (Agrigento), che valgono 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, sono ancora fermi, anche se qualcosa si sta muovendo. Le cause? Le solite: iter burocratici asfissianti, preoccupazioni diffuse dei cittadini locali per gli impatti ambientali, contrasti stridenti tra Stato e autonomie locali sull’allocazione degli impianti.

IL POTENZIALE DEL SUD

In particolare, il rigassificatore di Porto Empedocle è una potenza in fieri. È capace di trattare 8 miliardi di metri cubi l’anno, da solo quindi intercetterebbe oltre il 10% del fabbisogno nazionale. Il gas arriverebbe in forma liquida a bordo delle navi metaniere e verrebbe trasformato dall’impianto per essere poi immesso in rete.

Per realizzare l’impianto, dotato di due vasche interamente interrate, serviranno circa 900 persone, tra diretto e indotto. Naturalmente la crisi ucraina, che ha acuito i problemi legati alla dipendenza energetica del nostro Paese, probabilmente accelererà le procedure. Il Tar ha nei giorni scorsi respinto un ricorso presentato anni fa dal Comune di Agrigento che si opponeva al passaggio delle condotte nel proprio territorio.

A Gioia Tauro non è successo intanto assolutamente nulla, se non una lunghissima storia italiana di ordinaria burocrazia. Eppure, sarebbe stato strategico realizzare questo investimento per una nuova infrastruttura energetica, nell’interesse della Calabria e dell’Italia. Un investimento da un miliardo di euro è rimasto nel “congelatore delle decisioni perdute” per realizzare un impianto adeguato a gestire 12 miliardi di metri cubi di gas rispetto agli 80 circa che il Paese consuma ogni anno. Intanto, ancora oggi, l’impianto attende la dichiarazione di strategicità da parte dello Stato. Serviranno poi quattro anni per costruire il rigassificatore.

Proprio il gap nelle infrastrutture energetiche è la cartina di tornasole che rende evidente il ritardo del Mezzogiorno rispetto alle aree più sviluppate, coese e competitive del Nord del Paese e dell’Europa. Per le piccole e medie imprese è urgente, ora più che mai, trovare soluzioni concrete e alternative, poiché il costo alto dell’energia rappresenta una delle motivazioni principali che può determinarne la crisi, portandole a chiudere o delocalizzare. Una problematica riproposta negli ultimi mesi ogni qualvolta si apre o s’inasprisce una vertenza industriale al Sud.

I TRE POLI DEL NORD

L’altra Italia, cioè quella del Nord, sta messa decisamente meglio, con tre rigassificatori che possono immettere in rete 15,25 miliardi di metri cubi di gas all’anno. I rigassificatori oggi in uso sono tre strutture diverse tra loro.
Il più grande è il Terminale Gnl Adriatico (di proprietà di Qatar Petroleum, ExxonMobil e Snam) ed è un impianto offshore: un’isola artificiale che si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, e ha una capacità di produzione annuale di otto miliardi di metri cubi di gas, che saliranno a nove grazie a un’autorizzazione arrivata a dicembre 2021 che ne consente la modifica e, dunque, l’ampliamento.

Anche nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa, c’è un rigassificatore offshore: Olt Offshore Lng Toscana al largo di Livorno, di proprietà di Snam, First Sentier Investors e Golar Lng. È una nave metaniera che è stata modificata e ancorata in modo permanente al fondale e immette gas in rete dal 2013. Ha una capacità di 3,75 miliardi di metri cubi annuali.

Il terzo rigassificatore è invece una struttura onshore, cioè sulla terraferma, e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. È il primo rigassificatore costruito in Italia (risale agli anni Settanta), ha una capacità annuale di 3,5 miliardi di metri cubi.

La capacità complessiva dei tre rigassificatori non sarebbe da sola sufficiente a permettere l’immissione nella rete italiana di una quantità di gas pari a quella che negli ultimi anni è stata importata dalla Russia (29 miliardi di metri cubi di gas nel 2021).

E quindi, come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza: serve realizzare i rigassificatori al Sud. Ma qual è oggi lo stato dell’arte degli approvvigionamenti per via marittima di Gnl? La quota di gas sotto forma di Gnl è pari al 13,1%.

Quanto al capitolo stoccaggio, l’attività è iniziata nel 1964 nel campo di Cortemaggiore, in Emilia, tuttora in esercizio. L’attività consiste nell’utilizzare giacimenti in passato produttivi per l’immagazzinamento del gas, tipicamente nel periodo estivo quando la domanda è bassa, e l’erogazione in inverno per soddisfare le richieste del mercato (vedi grafico). Lo stoccaggio ha la finalità di compensare, nel sistema gas nazionale, fluttuazioni dei consumi e garantire una riserva strategica.

I PROGETTI PER LO STOCCAGGIO

Ora, tuttavia, il governo sta valutando l’installazione di due unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (Fsru) per stimolare le importazioni di gas naturale liquefatto. Le unità, la cui capacità totale è di oltre 10 miliardi di metri cubi, saranno situate nel Mar Tirreno e, possibilmente, nel Mar Adriatico. Le imbarcazioni saranno situate nei pressi di infrastrutture di gasdotti esistenti.

Nel breve periodo sarebbe anche possibile l’utilizzo, con minime modifiche impiantistiche, della filiera dei depositi small scale già realizzati e autorizzati di Oristano (Higas ed Ivi Petrolifera) e Ravenna (Edison).

Nel medio e lungo periodo, all’incremento dei flussi di gas dall’Algeria, dalla Libia e dall’Azerbaigian, anche tramite il raddoppio dell’utilizzo del gasdotto Tap, si potrà aggiungere il contributo dei due terminali di rigassificazione di Porto Empedocle e Gioia Tauro, ma a patto che non si perda altro tempo nel farli.


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