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Il week end di Pasqua con città d’arte, spiagge e agriturismi affollati è stato solo una piacevole parentesi. La guerra continua con i suoi orrori e la scia di danni economici che si aggravano sempre di più.

L’inflazione al 6,5% – ha denunciato Assoutenti – «è un massacro per le tasche dei consumatori». Il vero allarme, secondo l’associazione, sono i prezzi dei prodotti alimentari e questo si traduce in una spesa maggiorata di 434 euro annui per ciascuna famiglia. D’altra parte non si colgono segnali di riduzione dei costi delle materie prime. Comunque non di carattere strutturale. Insomma, è sempre più economia di guerra.

SOS COLDIRETTI

Ieri Coldiretti ha lanciato un nuovo Sos sull’impennata dei prezzi di prodotti agricoli strategici come il grano, il riso, la soia e il mais. Per quest’ultimo, in particolare, è stata raggiunta al Chicago Board of trade la quotazione record di 8 dollari per bushel, pari a 27,2 chili, un livello che non si ricordava dal 2012. Ma a rialzarsi sono i listini di tutte le commodity, che rischiano così di innescare un nuovo cortocircuito che inevitabilmente rimbalzerà sul carrello della spesa.

Il mais, infatti, è l’ingrediente base per l’alimentazione animale e dunque, in aggiunta ai costi dell’energia, renderà sempre più caro produrre. L’Italia acquista il 47% del mais, pari a più di 6 milioni di tonnellate. Una carenza che resterà. Perché per quanto riguarda le prossime semine l’aumento per questo prodotto è stimato solo dell’1% a fronte del +16% per la soia, e +5% per il girasole.

I principali fornitori di mais dell’Italia, oltre all’Ucraina (770 mila tonnellate), sono la Slovenia con il 13% (780 mila tonnellate) e l’Ungheria con il 30% (1,85 milioni di tonnellate). Quest’ultima aveva bloccato le esportazioni e per questo aveva incassato un cartellino rosso dalla Commissione Ue per pratiche protezionistiche, con l’invito a ritirare il decreto che limitava l’export nella Ue e in particolare in Italia.

Ma altri Paesi si stanno allineando e potrebbero così rendere più difficile il reperimento delle materie prime e contribuire a innalzare ancora di più i costi. Nelle campagne, secondo Coldiretti, si registrano aumenti che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi, fino al +129% per il gasolio, con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, ma con punte oltre 47mila euro per le stalle da latte e picchi fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli.

A essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti, sono proprio le coltivazioni di cereali. Ed è critica anche la situazione del riso, uno dei pochi settori in cui l’Italia è autosufficiente, producendo la metà del raccolto europeo.

La gravissima siccità e l’aumento record dei costi di produzione provocato dalla guerra in Ucraina stanno infatti mettendo in serio pericolo le semine, e dunque potrebbero essere tagliati 3mila ettari. Oggi il nostro Paese con 227mila ettari e 3.700 aziende occupa una posizione di primo piano con una produzione di 1,5 milioni di tonnellate annue.

IL RISCHIO LETALE DEL CALO PRODUTTIVO

Una flessione produttiva sarebbe tanto più grave in un momento in cui i consumi mondiali potrebbero spostarsi dal grano, particolarmente penalizzato dalla guerra, al riso. Un’alternativa anche per l’alimentazione dei Paesi del Nord Africa che dipendono quasi esclusivamente dalle esportazioni russe e ucraine.

Per quanto riguarda il grano, poi, ad assottigliare l’offerta si aggiunge il previsto calo dei raccolti statunitensi. L’Italia, con la contrazione delle coltivazioni di riso subirebbe un duro colpo per un prodotto chiave per l’alimentazione, aggravando così la situazione di dipendenza che attualmente è pari a oltre il 60% per il grano tenero, al 50% per il mais per l’alimentazione delle stalle, al 40 per il grano duro e al 30% per l’orzo. L’11% delle imprese agricole è allo stremo ed è vicina alla chiusura, mentre il 30% delle attività produttive fatica ad andare avanti e comunque registra consistenti cali di reddito.

«L’Italia – denuncia il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – è costretta a importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni, durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati. È necessario intervenire per contenere il caro energia e i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro. E occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la normativa di contrasto alle pratiche sleali».

Una notizia positiva in questo contesto di commodity che arrivano con il contagocce è rappresentata dalle due sentenze del Tar del Lazio che hanno giudicato legittimo il Dpcm con il quale nell’autunno scorso il governo ha azionato il potere di blocco della Golden Power (per la prima volta nel settore alimentare) per fermare la vendita di Verisem ed evitare così che un’azienda strategica per le produzioni di sementi finisse in mani cinesi.

Nel catalogo Verisem ci sono, tra l’altro, sementi di cavoli, radicchi, cipolle, cicoria, fagioli, piselli, pomodori, melanzane, meloni, cocomeri e peperoni ma anche di zucche e fiori da mangiare con varietà che vanno dal carciofo violetto di Romagna al cavolo romanesco, dalla cipolla di Pompei a quella di Barletta fino alla tropeana rossa. Un parterre di oltre 2.000 tipologie di sementi riferibile a 90 colture.

LA TUTELA DELLA FILIERA

Coldiretti, con Filiera Italia, si mobilitò subito per impedire il passaggio dell’azienda e il presidente del Consiglio, Mario Draghi, scese direttamente in campo azionando i poteri speciali per arginare la cessione di Verisem a Syngenta, gruppo agrochimico mondiale di proprietà cinese. Un’operazione da 200 milioni di euro. Syngenta presentò però ricorso e ora, con le sentenze del Tar che ha “promosso” l’intervento del governo, Verisem è salva.

Le forti incertezze sul fronte dell’approvvigionamento alimentare nazionale, amplificate in questi ultimi mesi, hanno rafforzato, secondo l’organizzazione agricola, la necessità della tutela dell’intera filiera alimentare, dal seme fino al prodotto agroalimentare finito: ”un obiettivo necessario per ridurre la vulnerabilità del nostro Paese dalle dinamiche internazionali”.

L’acquisizione di Verisem infatti avrebbe spostato in Asia gli equilibri strategici mondiali sul controllo delle sementi per la produzione di ortaggi ed erbe aromatiche aggravando una situazione in cui già 2 semi su 3 (66%) sono in mano a quattro multinazionali straniere, secondo quanto emerge da un’ indagine realizzata dal “Centro Studi Divulga”.


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