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Il porto di Gioia Tauro

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La tentazione del dirigismo è spesso in agguato. C’è sempre qualcuno, che sia il politico di turno, oppure l’economista avvertito, o professionisti come giornalisti o politologi, che ha sempre la soluzione in tasca e sa quello che questo Paese deve essere in futuro e lo afferma pubblicamente.

Per quanto attiene agli investimenti, in particolare per il Mezzogiorno, e soprattutto nel caso di attrazione di essi dall’esterno dell’area, tutti sanno in quali settori bisognerà investire.

Al di là del turismo che è un mantra diffuso e frequente, con la coda dell’agricoltura, che dovrebbe rappresentare il futuro del Mezzogiorno, ovviamente senza tener conto dei dati complessivi e che tale area ha una popolazione che se fosse un Paese autonomo sarebbe il sesto dell’Unione Europea, dopo Germania, Francia, Spagna, Polonia, Italia del Nord, e Italia del Sud, l’altro mantra diffuso tratta quello di dover individuare i settori del manifatturiero nei quali investire, per chi voglia farlo nelle aree di cui parliamo.

Ovviamente non mi riferisco agli interventi riguardanti la logistica, che sarebbero fondamentali considerato che naturalmente il Sud è una piattaforma proiettata nel Mediterraneo, né a quelli nell’energia, come rigassificatori piuttosto che impianti di raffinazione, eolici o solari. Anche se questi vengono venduti come investimenti che il Sud dovrebbe accogliere con gioia, piuttosto che invece come prezzo da pagare per un approvvigionamento energetico indispensabile e per essere il Paese autonomo rispetto ai fornitori stranieri, per quanto possibile.

Niente di tutto questo, parlo invece dell’investimento nel manifatturiero. Ed allora c’è chi decide che devono essere nell’agroalimentare, e chi invece pensa che debbano essere nell’high-tech, altri ancora nel farmaceutico, oppure nella meccanica fine, insomma ognuno ha la propria idea.

Il secondo elemento sul quale si fa sempre una riflessione ampia riguarda la produttività degli investimenti per cui in molti riflettono sul costo per unità di prodotto, sulla concorrenza esistente nei mercati internazionali, tutti argomenti che a prima vista sembrerebbero assolutamente pertinenti.

Invece penso che tali decisioni importanti riguardano altri e certamente non coloro che si occupano di sviluppo economico o dei politici che immaginano che debba essere il pubblico ad individuare tali settori.

A mio parere infatti vi sono dei compiti che riguardano i policy maker piuttosto che i loro consigliori, come economisti o giornalisti economici, e degli altri che riguardano invece esclusivamente gli imprenditori.

Mi spiego meglio: il policy maker deve lavorare perché ci siano le condizioni per l’attrattività, cioè preoccuparsi che le condizioni perché gli investimenti arrivino, come per esempio l’infrastrutturazione, la lotta alla criminalità, o quelli che rendano più favorevoli le condizioni, come per esempio un costo del lavoro più basso cioè un cuneo fiscale contenuto, oppure una tassazione favorevole degli utili che si dovrebbero produrre, si verifichino.

Ancor prima di quello che ho detto, che la normativa possa essere favorevole preoccupandosi di modificarla nel caso in cui possa costituire elemento ostativo.

La sua preoccupazione deve essere quella che si verifichino le precondizioni necessarie perché l’imprenditore decida di scegliere di localizzare la sua attività in un’area del Sud.

Dopo di che le scelte riguarderanno le imprese. Sarà il management di esse che dovrà capire se un certo tipo di investimento ha mercato nazionale ed internazionale, se riesce a superare la concorrenza dei produttori che hanno attività simili in Italia o all’estero. Se sta investendo in un prodotto maturo che presto non sarò scelto dai consumatori o se la tecnologia nuova lo renderà obsoleto. Complessivamente se il suo investimento ha possibilità di produrre utili oppure avrà un costo tale da essere fuori mercato.

Sono tutte problematiche che riguardano l’investitore che mette i suoi denari e vuole farli fruttare, che rischia facendo scelte sbagliate, o che sarà premiato se invece individua bene la tipologia di investimento da effettuare.

Volersi sostituire a lui avvantaggiando alcune produzioni rispetto ad altre potrebbe portare l’investitore fuori mercato facendo scegliere investimenti che, finiti gli incentivi, potrebbero risultare non più convenienti.

Certo alcuni limiti possono essere messi rispetto a produzioni che inquinano, o di prodotti che si vogliono scoraggiare come quelli in plastica, o contrari alle linee complessive in termini di riduzione di CO2, come peraltro accade per tutti coloro che producono nel Paese.

Ma nulla di più, poi dovrà essere l’imprenditore che dovrà capire cosa fare e dove investire, visto che peraltro è il suo mestiere. Poi grazie all’istituto del fallimento chi avrà sbagliato sarà punito dal mercato. Ma nessuno che esprima le sue preferenze, rispetto all’imprenditore, circa la propria velleità di volere che il Sud diventi un distretto che avvantaggi l’aeronautica, piuttosto che la farmaceutica o, visto il momento, la produzione di armi. L’unico obiettivo che il policy maker deve avere, e per il quale deve dare indirizzi ed indicazioni, riguarda l’esigenza di occupazione che il Mezzogiorno ha nel manifatturiero, e che si può dimensionare in quasi due milioni di posti di lavoro. Il resto per arrivare ai tre milioni necessari dovrebbe venire dal turismo e dalla logistica.

In modo che in tempi stabiliti si arrivi ad offrire opportunità di lavoro a coloro che vi nascono ed avrebbero il desiderio di starci. Troppo spesso infatti improvvisati programmatori hanno pensato di realizzare le loro teorie, poi contraddette da una realtà che andava in senso diverso, sul corpo vivo di un Mezzogiorno sul quale si sono potute attuare tutte le sperimentazioni possibili.

Adesso forse è l’ora di smetterla e di lasciare alle forze vive del mercato, attratte per le condizioni favorevoli che andremo a creare, la possibilità di capire cosa vogliono venire a fare i desiderati investitori in una terra che sarebbe opportuno offrisse condizioni di localizzazioni ottime rispetto ai concorrenti europei ed internazionali, cosa che ancora oggi, malgrado la dichiarata volontà del Paese, non riesce a fare in modo completo.


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