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Ci si aspetterebbe che al Sud meno inquinato del Nord le aspettative di vita siano maggiori ma malasanità e povertà tradiscono il Mezzogiorno

Da qualche anno ormai l’Istat pubblica, accanto alle stime del tradizionale Pil, anche le cifre del Bes (Benessere equo e sostenibile): si tratta di decine di indicatori che mirano a dare un’immagine più completa del benessere di una nazione.

Come disse Robert Kennedy più di mezzo secolo fa: il Pil dell’America «conta l’inquinamento, la pubblicità alle sigarette, le ambulanze che portano via morti e feriti dalle strade… Conta i lucchetti delle nostre porte e le prigioni per coloro che le sfondano, conta la distruzione delle sequoie e la perdita dei nostri meravigliosi paesaggi, conta il napalm, le testate nucleari e le macchine della polizia corazzate per sedare i tumulti nelle nostre città, e i programmi televisivi che glorificano la violenza per vendere giocattoli ai nostri figli. E il Pil non tiene invece conto della salute dei bambini, della qualità della loro istruzione, o la gioia delle attività ricreative, non include la bellezza della nostra poesia o l’integrità dei funzionari pubblici… Insomma, misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta».

Da quando Bob Kennedy proferì queste accorate parole, molti passi avanti sono stati fatti, e le statistiche sul benessere di una nazione si sono arricchite di altre dimensioni. Gli indicatori dell’Istat ora sono disponibili anche a livello territoriale (vedi il comunicato del 3 ottobre), e, come dice l’Istituto, «La penalizzazione del Mezzogiorno e il dualismo nord-sud erano e restano chiavi di lettura appropriate per molte e importanti componenti del Bes.

I DATI DELL’ISTAT AGGIUNGONO NUOVE MISURE AL DIVARIO TRA NORD E SUD

Nonostante le diverse dinamiche osservate nella congiuntura negativa da Covid-19, nei domini Salute, Istruzione, Lavoro e Benessere economico le distanze restano marcate e si accentuano in particolare per la speranza di vita e il reddito dei lavoratori dipendenti, indicatori che tra il pre e il post pandemia segnano un chiaro arretramento dei livelli di benessere per la generalità delle province del Mezzogiorno con il conseguente ampliarsi del divario con il Centro-nord». Questo giornale dal giorno della sua fondazione ha pubblicato molte evidenze del divario Nord-Sud: un divario che non solo persiste ma si allarga. E oggi l’Istat aggiunge altre dimensioni a questo divario.

Forse la più importante di queste dimensioni è la ‘speranza di vita’, cioè il numero di anni che un cittadino si aspetta di vivere, nella media della popolazione di riferimento. Si tratta di un indicatore che ne collassa molti altri, dalla qualità della nutrizione alla qualità delle cure mediche, alla qualità dell’aria, del vivere urbano e, perché no, alle predisposizioni genetiche… A priori, ci si aspetterebbe che al Sud – meno industrializzato e quindi meno inquinato del Nord – la speranza di vita sia più alta: il clima è migliore e l’immagine idillica di una vita più vicina alla natura aiuta. Ma, come si vede dal primo grafico, è vero il contrario.

LE ASPETTATIVE DI VITA TRADITE AL SUD

Questo vuol dire che altre variabili cospirano ad accorciare la vita delle popolazioni meridionali, a cominciare dalla sanità e dalla diffusa povertà. Quel che è più grave – vedi il secondo grafico, che copre il periodo cruciale della pandemia e guarda alle variazioni e non solo al livello della speranza di vita – dal 2019 al 2021 quella ‘speranza’ – che è diminuita per tutti a causa del Covid – si è ridotta maggiormente al Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Ecco un’altra dimensione di quell’allargamento del divario più volte denunciato su queste colonne.

Anche dove invece, a livello nazionale, si sono registrati progressi – si pensi alla formazione continua e alla disponibilità per le famiglie di infrastrutture più avanzate di connessione a Internet (FTTP), spinta dalla didattica a distanza – il miglioramento è associato a una lieve crescita delle differenze territoriali.
Un altro settore cruciale è quello dell’istruzione. Come recita l’Istat, «Nell’anno scolastico 2021/2022 il 43,6% degli studenti che frequentano la classe III della scuola secondaria di primo grado ha una competenza numerica non adeguata, in leggero miglioramento rispetto al 44,5% dell’anno scolastico precedente ma in peggioramento nel confronto con l’anno scolastico 2018/2019 (39,6%)».

IL PREOCCUPANTE DATO SCOLASTICO E IL DIVARIO TRA NORD E SUD

«Il gradiente territoriale rimane molto forte a svantaggio del Mezzogiorno: 35,8% al Nord (in miglioramento di 1,2 punti percentuali rispetto al 2020/2021 ma in peggioramento di 4,5 p.p. rispetto al 2018/2019), 40% al Centro e 60% nel Mezzogiorno (dove si registra un miglioramento di -1,6 p.p. sul 2020/2021). Particolarmente critica la situazione nelle province di Crotone, Agrigento e Palermo (rispettivamente 69,5%, 65,7 e 65,2% degli studenti con competenze numeriche insufficienti); all’opposto le percentuali più basse si registrano a Sondrio (25,5%) e Belluno (26,1%)».

«I confronti di genere evidenziano lo svantaggio delle ragazze: le studentesse che hanno competenze numeriche non adeguate sono il 45,8% contro il 41,6% dei coetanei maschi. In 17 province del Mezzogiorno (fanno eccezione quelle della Basilicata, dell’Abruzzo e del Molise) più del 60% di studentesse ha competenze numeriche inadeguate contro una quota che non arriva al 30% a Sondrio, Belluno e Lecco. Per gli studenti maschi invece sono 8 le province della Calabria e della Sicilia (Siracusa, Trapani, Vibo Valentia, Palermo, Reggio di Calabria, Caltanissetta Agrigento e Crotone) in cui più del 60% dei ragazzi ha competenze numeriche insufficienti e 7 le province del Nord in cui la stessa percentuale si attesta sotto il 30% (Belluno, Sondrio, Monza e della Brianza, Lecco, Trento, Como e Aosta)».

ASPETTATIVE DI VITA TRADITE AL SUD: CONTINUARE NEL SOLCO DEL GOVERNO DRAGHI

Tutte cifre e stime, queste, che non fanno altro che sottolineare l’urgenza di ricorrere al Pnrr per colmare questo storici ed esiziali divari. Fin dall’inizio il Pnrr era stato pensato e proposto come un mezzo – unico e possente – per ridurre le diseguaglianze territoriali. Non c’è che da auspicare che il nuovo governo riprenda quel pensiero e quelle proposte, nel solco di quel che il governo Draghi – e in particolare Mara Carfagna – avevano già meritoriamente tracciato.


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