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Recessione l’economia dell’Italia non demorde, tanto più che le prime mosse del governo Meloni sono andate nel solco di Draghi

“Data dependent”: un’espressione, questa che ricorre a ogni comunicato delle Banche centrali. Il sentiero dei tassi – per ora ancora in salita – dipenderà dai dati. E i dati dicono che l’Italia si difende meglio di altri dalla recessione incombente. E dicono anche che ci sono segnali di rallentamento delle pressioni sui prezzi – per ora a livello dei prezzi alla produzione e dei prezzi di alcuni servizi cruciali, come i noli marittimi.

Guardiamo all’economia reale. Uno degli indici più tempestivi disponibili per tastare il polso della congiuntura è il ‘superindice’ della Commissione Ue, il cui dato di novembre è stato appena rilasciato, per l’Eurozona nel suo complesso e per i singoli Paesi. Si tratta di un indice composito, che collassa vari indicatori di fiducia relativi all’industria, alle costruzioni, ai servizi, al commercio al dettaglio e al ‘sentiment’ delle famiglie.

Il grafico mostra, a partire dal 2021, l’andamento del superindice per l’Italia e per il resto dell’Eurozona. Come si vede, il dato italiano era andato abbastanza di conserva con il dato europeo, salvo accelerare alquanto, rispetto a quest’ultimo, nel corso del 2022. Ma l’ultimo valore registra un netto strappo verso l’alto per la Penisola, a fronte di un dato stagnante per l’Eurozona (Italia esclusa). Quella parte del superindice che riguarda la fiducia delle famiglie conferma lo ‘strappo’, anche se in questo caso la fiducia dei consumatori aumenta, se pur di meno, anche nell’Eurozona.

L’ECONOMIA DELL’ITALIA CHE RESISTE ALLA RECESSIONE

Beninteso, siamo sempre al di sotto dei livelli di inizio anno (l’insana invasione russa dell’Ucraina data da fine febbraio) e la minaccia della recessione (che forse è già iniziata) non è affatto smentita da questi numeri relativamente robusti. Ma mette conto chiedersi del perché, in questo ‘mal comune’, l’Italia gode di ‘mezzo gaudio’.

Il governo Meloni data da fine ottobre, e il dato congiunturale di novembre è forse il primo che può essere ascritto al nuovo governo. Certamente, ogni economista sa che far cambiare di rotta a un’economia è come far virare una portaerei: ci vuole tempo. Ma i numeri della fiducia, in quanto diversi da quelli della produzione o dell’inflazione, riflettono percezioni istantanee.

Quali sono le ragioni allora di questa buona (relativamente, ripetiamo) performance? Le ragioni sono essenzialmente due: da un lato, c’è la ‘luna di miele’ tradizionalmente riservata ad ogni nuovo governo, l’apertura di credito, cioè, al nuovo esperimento di quel laboratorio sociopolitico che è l’Italia.

Dall’altro lato c’è “l’abbrivio”: come più volte riportato in questo giornale, l’economia italiana, dall’inizio del precedente governo in poi (Draghi divenne primo ministro a febbraio dell’anno scorso), ha sempre smentito le previsioni, crescendo di più di quanto prevedevano, appunto, coloro che cercano il futuro dell’economia nelle estrapolazioni basate sull’esperienza, o nei fondi di caffè, nelle sfere di cristallo, nella balbuzie fortunosa degli uccelli o nel lontano contrappeso degli astri.

LA RECESSIONE E LA TENUTA DELL’ECONOMIA DELL’ITALIA A NOVEMBRE

Ebbene, quell’abbrivio si conferma a novembre: l’economia italiana non demorde, tanto più che le prime mosse del governo Meloni sono andate nel solco di Draghi, a partire dalla prudenza della legge di bilancio (che ha fatto carta straccia di tante incaute promesse elettorali della Lega e di Forza Italia).

Il nodo centrale dell’economia internazionale sta nel combinato disposto dei tassi e dell’inflazione. Le Banche centrali – Fed e Bce in testa – vogliono aumentare i primi per stroncare la seconda. Ma c’è un terzo incomodo, che è l’economia reale: questa, che ha già tanti problemi per conto suo, potrebbe soffrire da un aumento troppo rapido del costo del danaro. E molti si preoccupavano: «Non v’arrestate ma studiate il passo» sembravano dire – con il Poeta – i mercati alle Banche centrali. Qualcosa di simile aveva detto il governatore della Bank of England e anche la Banca centrale sudcoreana aveva fatto trapelare che sta “studiando il passo” (la Reserve Bank australiana lo ha già “studiato”, con un rialzo minore delle attese).

LA BCE E LA POLITICA DELL’AUMENTO DEI TASSI

Paradossalmente, se l’economia tiene (in Italia e, in misura minore, in Europa), questa potrebbe essere una cattiva notizia, dato che la Bce sarà confortata nel proseguire in quel sentiero di tassi in aumento che si era prefissata (forse con troppa foga). Dato che gli inviti alla cautela erano basati sui possibili danni all’economia reale che venivano dall’aumento del costo del danaro, se questi danni sono minori delle attese quegli inviti alla cautela saranno ‘non ricevuti’.

Tuttavia, la Bce, così come le consorelle, bada all’inflazione. E, direbbero tutte, per ‘studiare il passo’ abbiamo bisogno di una chiara evidenza di una bonaccia nelle pressioni sui prezzi. Di questa bonaccia cominciano a intravvedersi alcuni segni, nelle materie prime e, come accennato sopra, nei noli (che sono tornati ai livelli pre-pandemia). Pochi giorni fa abbiamo registrato un netto calo dei prezzi alla produzione in Italia (dovuto all’energia, ma anche gli altri prezzi hanno rallentato nettamente). Un analogo rallentamento lo abbiamo registrato ieri anche nei prezzi al consumo. Come argomenta il commento dell’Istat: “Se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi”.

In conclusione, sia per la fiducia che per l’inflazione e per la politica monetaria, i tasselli del mosaico si vanno componendo in modo più favorevole. Incrociamo le dita…


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